Eccomi lì, nella foto, in alto a sinistra a formare la squadra di calcio per il torneo del campeggio. Dodici anni o poco più, testa arruffata da capelli stoppacciosi e un mucchietto di lentiggini concentrate sul naso e gli zigomi. L’estate nella mia infanzia significa il Gargano, prendere i bagagli, attaccare al sedere dell’auto il carrello-tenda e scivolare lungo l’Italia insieme ai miei genitori e dirigermi verso il tacco rivolto ad Oriente. L’infanzia svaniva a dodici anni, il corpo celava i cambiamenti veri e propri, li accudiva nel suo profondo aspettando il momento migliore per poi scatenarsi in brufoli e dolori alle ossa. L’estate, superata la sua magia del gioco, del secchiello e della paletta, era dedicata ad osservare l’altro sesso che ora sembrava assumere un ruolo diverso, ancora poco chiaro. L’estate in campeggio significava cercarsi, come ogni estate del resto, di costruirsi una comitiva a tempo determinato, con la scadenza improrogabile. La fragilità di un dodicenne che assaporava il mondo ad un passo più in là dell’ombra dei genitori, si mischiava con le altre fragilità preadolescienziali, dai diversi accenti, dalle differenti storie, tutte lì, concentrate in uno spazio circoscritto e dedicato alle attività vacanziere. Così mi ritrovavo in difesa, perché i piedi non erano buoni (come del resto non lo sono ancora oggi) a giocare per una squadra formata da ragazzini di tutta Italia, pronti a sfidare i ragazzini del posto che avevano l’arduo compito di difendere la rispettabilità del luogo facendosi carico di tutto il campanilismo possibile. Noi dodicenni scorrazzavamo per quel campetto polveroso, ognuno con la sua maglia di appartenenza, ognuno di noi ostentando una sfacciataggine maledettamente falsa, quella che doveva essere la sicurezza del sentirsi adulti che noi ci limitavamo ad abbozzare. Invaghiti per qualche ragazzina che, ridendosela con le sua amiche, osservava il pallone passare di piede in piede, accennando qualche saluto, ma solo di rado ed esclusivamente a chi davvero se lo meritava. I genitori poi, quelli si concentravano su delle panche sbilenche, parlottando dei loro inverni, della loro quotidianità come a volerla esorcizzare almeno per quelle due settimane.
Perché scrivo tutto questo vi chiederete? Perché Paolo Cognetti con il suo splendido Una cosa piccola che sta per esplodere, nel raccontare le storie di quelle infanzie ormai sciolte dallo scaldarsi dell’adolescenza, mi ha fatto ricordare di come io vissi quegli anni. E’ un libro travolgente condensato in una scrittura intensa, mai banale, ricercata ed attenta nel far emergere quelle sensazioni sottilissime che l’adolescenza riserva. Paolo Cognetti si è rivelato un caso, almeno per quanto mi riguarda. Nel suo libro c’è il senso della fragilità degli anni tormentati, maledettamente difficili, quando un ragazzino fa la muta e lascia in un angolo l’innocenza dell’infanzia, mostrando la sua nuova pelle già scalfita dalla crudezza del mondo. E’ un libro che merita di essere letto quello di Cognetti, perché si concentra su un lasso di tempo troppe volte male interpretato, troppe volte stucchevolmente standardizzato e, soprattutto, troppe volte preda degli intenti commerciali, capaci di bombardare un’età fragilissima quasi completamente priva di sostegni propri. I personaggi che Paolo Cognetti mette in scena sono tutti alla ricerca di qualcosa, sono eroi narrativi a caccia di una ricompensa per le prove che affrontano; in questo caso, ciò che cercano è una loro completezza, una loro definizione. E non la cercano negli adulti, no, quelli sono gli ultimi a cui chiederla, al massimo possono rapportarsi a questi nascondendosi dietro a quelle standardizzazioni comportamentali che la società, e quindi gli adulti, esige per sentirsi convinti che tutto giri secondo il loro intento. I ragazzini di Cognetti aiutano gli adulti, cercano di comprendere le loro scelte incomprensibili per la loro età, accudiscono i loro animi corrotti dal tempo, si lasciano trasportare dal tempo seguendo quella maturità biologica che non li porterà alla completezza tanto sospirata, ma sono coscienti di questo al contrario della cecità mostrata dai “grandi”.
L’ultima sera al campeggio prima di ritornare nelle vostre rispettive città, tane dell’inverno che verrà, osservate attentamente gli occhi dei dodicenni seduti ai tavolini del bar, se sarete attenti potrete cogliere la loro lucida e malinconica consapevolezza che la prossima estate li riunirà un po’ diversi, un po’ più adulti. E il mare, di onda in onda, modellerà la spiaggia. Sempre.
10 commenti:
quante immagini Andrea! Delle mie lunghissime estati in toscana. Scrissi, tempo fa, un post in inglese ora pubblicato in un blog di una mia amica canadese (strani giri, ho vissuto in canada per qualche mese).
E rileggendo tutto d'un fiato i tuoi ricordi mi sono arrivati addosso i miei. Prepotenti, come uno tsunami.
Grazie :)
Non conoscevo il libro, credo lo comprerò.
@chiara:grazie a te per aver letto tutto di un fiato il post! I racconti di Cognetti sono delle storie scritte con una chiarezza e un magnetismo davvero raro. Ho letto il libro in un paio di giorni (non è un tomo, sia chiaro)lasciandomi trasportare dai personaggi fragili ma allo stesso tempo consapevoli della loro condizione e per nulla arrendevoli. L'adolescenza è una fase della vita spesso romanzata, mi vengono in mente Verga con Rosso Malpelo o i ragazzini siciliani di Ammaniti in Io non ho paura. Si, se ti capita sotto mano compralo, è una lettura che lascia qualcosa. Salutoni! :-)
Di quegli anni ho un ricordo vago. Sembrava quasi non fossi io l'attore. Una sorta di trasparenza corporea e odori marci di scuole inferiori. Anzi di quegl'anni non ho le ossa. Forse un poco di cenere. Il ricordo mi si frantuma prima di aprire una rossa melagrana. L'acidulo succo che prosciuga le fauci. Che strano pensare. (inteso come "il" e non l'infinito)
A volte ho il timore che saremo l'ultima generazione dei ricordi del campeggio, preziosissimi, io li custodisco come i migliori. Ma oggi i genitori non hanno più tempo per i figli. Viviamo sempre meno.
che bello ritrovare le tue parole, gustoso cibo per il mio cuore, che, come sempre, aprono, spalancano, i cassettini della mia anima e mi portano un, seppur in questo caso malinconico, sorrido.
Andrea, amico mio, grazie per i tuoi pensieri :D
che ridere, ricordo anche io quei lunghi viaggi verso il sud italia, con una tenda sul portapacchi o una roulotte attaccata all'automobile, notti calde e spezzate da autogrill sporchi, e si ritornava sempre indietro con un ragazzino nel cuore, la canzone dell'estate che macinava oramai logorata nel registratore, il gusto di avere trovato un mondo proibito, segreto, inaccessibile agli adulti ...dopo trent'anni ho ancora una roulotte e due bambine da portare in vacanza, ma quel sud mi pare divenuto sempre più inospitale..vorrei sbagliarmi ;-))
@danielinux:commosso e contento della tua apparizione sul blog ricambio le belle parole che fanno bene al cuore, sempre.
@guccia:spero di no, spero che ci siano ancora tanti ragazzini/e impegnate in vacanze nei campeggi, perchè fanno crescere e diveritre (oddio, sembro uno che vuole vendere una vacanza alla colonia...)
@maurizio:sono felice di risvegliare i tuoi ricordo, hai attaccato un anello alla catena dei ricordi, è una bella cosa credo.
@naima:grazie anche a te per aver condiviso un tuo ricordo. Mi piace questo post e i vostri commenti, non c'è alcun dubbio. Grazie! :-)
ciao sto studiando per diventare docente di materie artistiche aiuto!!!
passa se vuoi
grazie andrea.
è il commento più bello che ho ricevuto.
ti ho trovato per caso, grazie a google, ma hai reso migliore questa mia giornata.
ti abbraccio
paolo
@paolo:Grazie a te Paolo, anch'io ti ho scoperto per caso grazie ad Internet, complimenti per la nitidezza delle immagini che mi hai trasmesso. Un libro raro il tuo, davvero.
Salutoni! :-)
@daniela:sono passato dalle tue parti ! :-)
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