giovedì 28 giugno 2007

Permalosi nel 2007


Un'azienda mette sul mercato una nuova linea di prodotti. Un'artista pubblica sul web le sue ultime fatiche, ad esempio una nuova sessione di acrilici. Una concessionaria pubblicitaria spende il suo tempo alla ricerca di spazi strategici per il suo cliente e per le sue promozioni. Tutto questo dieci o quindici anni fa non aveva un riscontro reale con il pubblico. Non c'era interattività. Oggi, nel 2007, l'interattività fa da padrona, i nostri media devono essere interattivi, altrimenti sono roba vecchia, roba antica. L'interattività ha permesso di ridurre, se non annullare le distanze, è stata davvero, e lo sarà per ancora parecchio, un'icona rappresentativa di questo nuovo millennio. Ma c'è l'altra faccia della medaglia.
L'azienda che mette su mercato i suoi nuovi prodotti può oggi conoscere il giudizio dei clienti. Lo può fare grazie al web, grazie ai commenti degli utenti, grazie ai forum specializzati, o attraverso indagini di mercato sempre più articolate e modellate su particolari infinitesimali. Si ha un riscontro che esula dal semplice bilancio in attivo. L'azienda si mette in discussione, non può fare altro. Lo stesso vale per l'artista e le sue opere, e perchè no, anche per la politica, la religione, il sesso etc...
Essere oggi, nel mediatico 2007, dei permalosi è un errore gravissimo, significa non sapersi proiettare nell'ottica dell'interattività. I blog ne sono una prova, quelli con più contatti sono spesso luoghi dove il confronto è sereno, o meglio, il blogger di casa è incline al confronto, non si rifugia nelle sue convinzioni. Ma a volte nascono discussioni pazzesche, che spesso si trasformano in litigate a colpi di tastiera. Gli esempi sono infiniti, anche stupidi. Provate a digitare su You Tube qualche simpatica scenetta televisiva, come le soubrette che si prendono a calci, o litigate furibonde sulla tinte o sullo smalto. Leggete i commenti, ci sono vere e proprie crociate contro il tale che reputa la velina X una donnicciola, e chi invece giudica la velina Y una persona per bene, capace, intelligente. E' violenza verbale repressa. E' interattività.
I media ci inducono al confronto che, uscendo da esempi poco edificanti, come quello sulle veline, può essere un'enorme conquista. Si pensi alle conflittualità culturali sempre più acute e spesso strumentali, si pensi ad un nuovo modo di intendere e attuare una politica fondata davvero sul dialogo, sul confronto capillare. Questo è quello che ci fornisce oggi ilweb, o la tv digitale, o la telefonia mobile, noi armiamoci di santa pazienza e proviamo a non essere permalosi.
Technorati Profile

mercoledì 27 giugno 2007

Per non chiudere più gli occhi


Ho terminato la lettura di Gomorra di Saviano, e le mie idee, già espresse in un vecchio post, non possono che riconfermarsi. E' un libro importante, è una letteratura che avrà peso nel tempo; un libro che non si dimenticherà, anzi, molto probabilmente potrà aprire le porte per un impegno culturale più sincero sulla questione camorra.
Leggendolo si assapora l'amaro del nostro paese e non solo del meridione. Noi italiani abbiamo sempre confinato il problema criminalità organizzata da Napoli in giù, è stata una scusa, un modo per tapparsi gli occhi, per non voler credere che questo paese è marcio da capo a piedi. Se manca l'acqua al sud, se si muore di tumore ai polmoni, causa la diossina rilasciata nell'aria dalle discariche abusive, se si muore innocentemente in una sparatoria regolatrice, se il mercato della cocaina è così florido, la colpa è di tutto lo stivale. La camorra è un'impresa, capace di accellerare e rallentare il Pil di questo paese. Sembrerà assurdo, ma senza illegalità questo paese non sa vivere. Se le aziende del nord-est, fiore all'occhiello della piccola-media imprenditoria italiana, riescono ancora ha fatturare, il merito è anche della camorra capace di gestire, senza grosse spese, lo smaltimento dei rifiuti industriali. E i bidoni pieni zeppi di roba tossica vanno a finire sotto terra, sotto la campagna campana, nei laghetti artificiali, nelle spiaggie, in mare, addirittura nei serbatoi dismessi delle pompe di benzina. Se molti operari del nord non sono andati in cassaintegrazione il merito non è solo dei sindacati, c'è da ringraziare anche la camorra.
Questo è un paese marcio fino al midollo, la corruzione assume ormai toni grotteschi, peggio ancora, indossa l'abito della normalità. Le famose ecoballe sono tra le più grandi sconfitte della politica italiana, sopratutto di un centrosinistra, sovrano in Campania da tanti anni, corrotto e degradato dal Sistema. L'associazione politica-criminalità diventa sempre più una consuetudine, un dato di fatto.
Saviano lascia un segno indelebile sulla pelle della società civile italiana, la scuote, gli schiaffa in faccia una realtà che puzza, che trasuda lerciume, e come molto spesso accade c'è chi a questa realtà non vuole dar credito, vuole chiudere gli occhi. E' il caso di questo articolo di Andrea Di Consoli pubblicato il 18 giugno su Il Mattino di Napoli. Sono anch'io del parere che Napoli non è solo camorra, che Napoli preserva intatta la bandiera della legalità, che è abitata da napoletani corretti, cittadini italiani che sanno distinguersi dal luogo comune napoletano-criminale. Sono convinto che Napoli non produce solo lo schifo delle faide interne della camorra, del lavoro nero. Ma è anche vero che di fronte a tutto quello che ha scritto Saviano che, ripeto, non è confinato ad una realtà locale, o interregionale, ma che investe una moltitudine di realtà diverse del nostro paese, c'è da urlare il nostro totale disprezzo, il nostro schifo, c'è da pretendere qualcos'altro. Ecco perchè bisogna battere il ferro finchè è caldo, non ricadere nel silenzio, parlare, denunciare, discutere, informare sui lati oscuri, o peggio neri del paese.
Questo è il mio parere, questa è la mia visione delle cose, senza dubbio il libro di Saviano ha fatto si che molto di tutto questo venisse stimolato. Ho aperto un pò gli occhi ed ora non vorrei richiuderli.

mercoledì 20 giugno 2007

Derive qualunquiste


La politica sta passando una fasaccia. Tutti i nostri politici sentono puzza di sfiducia, di pessimismo e, ancor più grave, di distacco da ciò che la politica fa. A sentir D'Alema, sembra che i tempi siano simili a quelli degli anni '90, quando un Bettino Craxi scappava bersagliato da centinaia di monetine. Ma la questione, a mio giudizio, è diversa. In quel caso la sfiducia della gente nasceva dalla scoperta, o certezza, degli intrallazzi dei politici, delle speculazioni, di giudici pronti a scatenar l'inferno a quella politica infame e poi, guarda un pò la vita, ritrovarsi seduti sui banchi del parlamento a cercare di mantenere in vita la politica, anche a costo di metter su partitelli da percentuali risicatissime, con l'unico scopo di leggittimarsi, di tenersi salda questa benedetta poltrona.
La politica da tredici anni a questa parte ha assunto le somiglianze del modello Berlusconi. Di una politica spettacolo, del "guarda come sto bene io, potresti esserci anche tu", del trasformismo di quell'esecutivo dei famosi anni '90, sporco e corrotto che silenziosamente si infiltra, senza alcun grido di scandalo, nella "nuova" politica italiana, quella della seconda metà degli anni '90. La politica marketing, segno dei nostri tempi, figlia della ingloriosa new economy.
Il mio timore è il distacco tra la politica e la gente. I connotati di oligarchia trasformista della nostra politica sono inquietanti, assumono toni drammatico-grotteschi. Il mio timore è quello di non vedere altro che la sopravvivenza del potere, un manipolo di incravattati senza alcun rispetto per chi rappresentano, una deriva populista e qualunquista pericolosissima, sopratutto per chi, come me, nella politica ha visto sempre uno strumento si, di potere, ma anche e sopratutto di garanzia per un domani migliore.
La politica senza il futuro non è niente, è zero. Il futuro è rappresentato dalle aspettative della gente, degli elettori. Se questo viene a mancare, se tutto si riduce allo squallido presente, o peggio ancora, al miserevole oggi, allora la politica ha perso.

domenica 17 giugno 2007

Il sistema


Sto leggendo Gomorra, libro stravenduto scritto dal talentuoso Saviano. Il libro è un pugno dritto allo stomaco, è drammaticamente avvincente. Le storie, scandite con gran destrezza da Saviano, hanno il sapore della sconfitta dello stato, della assoluta inettitudine delle forze politiche e dello stato civile, della voglia, se ancor questa esiste, di legalità. Il sistema è praticamente una struttura sociale parallela a quella già esistente, è un'immagine speculare, contornata però da violenza, sangue, ignoranza, sfruttamento e lacrime. Gomorra è un libro importante per il nostro paese, è un urlo, un lampo nel cielo terso del giornalismo italiano, sempre più assopito o, peggio ancora, imbavagliato.
Qualcuno definisce l'opera di Saviano paraculaggine: in tempi di camorra sui giornali, di faide spietate, la Mondadori ha cercato chi sapesse raccontare tutto questo in chiave romanzata, da fiction. Credo che i commenti negativi sono frutto, molto spesso, di invidia sottile, strisciante, del tipo "cazzo, poteva esserci la mia bella facciona sulla quarta di copertina". Saviano, a mio parere, dona al libro, oltre ad una lettura dinamica (se uno è bravo a scrivere che colpe piuò avere?), una serie di dati tecnici, per così dire, che informano su cos'è oggi il sistema, e non camorra, come enciclopedicamente scrivono i giornali. Qui non si tratta solo di organizzazione criminale, qui c'è materia sociologica pura.
Appena avrò terminato di leggerlo scriverò dell'altro su questo tema.
Saluti a todos.