lunedì 3 novembre 2008

In fase trasloco

Il blog si rinnova. Dopo un anno e qualcosa di permanenza sulla piattaforma Blogger, il Patassa emigra. Non vi preoccupate, tutte le recensioni scritte fin ora sono già state impacchettate, trasportate e riordinate nella "nuova casa". Anche se in fase di allestimento, vi linko il nuovo indirizzo, entro il fine settimana verrà inaugurato: http://patassa.wordpress.com/
Quindi aspettatevi a breve l'invito ufficiale del Patassa versione 2.0, un salut' a tutti.

lunedì 27 ottobre 2008

Pillola #7

«Mica parlo di razzismo io», mi dice sbuffando il fumo della sigaretta con forza, quasi volesse spingerlo oltre quel muretto, quella strada, quel quartiere. Alessandro, per tutti Ale, è un uomo di quindici anni, ha il motorino e un casco sommerso di dediche, «una di queste è quella della mia ragazza, però mica ti dico qual è», sembra quasi una sfida. La storia del cinese pestato non gli va giù. Anche il resto della comitiva la pensa come lui, il razzismo non c’entra proprio niente. Allora cos’è? A questa domanda gli occhi di Ale si spengono, ma solo un attimo, un brevissimo istante, devi essere capace di coglierlo quel momento perché, dicono, è lì che si manifesta al meglio l’essenza dell’adolescente di oggi. «E’ altro, non so come spiegarti». Una sua amica dice che ci sono troppi stranieri e che, pur apprezzando Che Guevara a lei, i romeni, proprio non piacciono. «C’ha pure il postere del Che in cameretta» dice Ale e la ragazza, imbarazzata recupera dicendo che però alle elezioni ha votato Fini. E del cinese ricoverato? «Boh» rispondono in coro. Boh rispondono le mura dei palazzi annerite dalla notte.

giovedì 23 ottobre 2008

Gli interessi superano il numero di Dunbar?


Ho ricevuto diverse considerazioni sul post scritto un po’ di giorni fa sul numero di Dunbar applicato a Facebook. In questi giorni si parla molto del “libro faccia” addirittura, stando alle ultime statistiche, il mondo dei social network ha superato in numero di click il pianeta del porno connesso in rete. In Italia negli ultimi mesi Facebook ha raccolto a sé un numero di contatti sempre in crescita. Anche nel nostro paese, il concetto di social network si sta definitivamente affermando (in Usa è già da tempo diffuso). L’uso dei social network è una pratica di condivisione si, di aspetti futili (spam contenenti cose più o meno simpatiche, ma che hanno effettivamente scarso valore, anch’io consumo e ogni tanto produco spam, lo ammetto), ma ci può essere un uso più “intelligente” degli strumenti offerti da Facebook. Un esempio, la condivisione di interessi in comune. Mi spiego, e se un social network così altamente frequentato venisse utilizzato per la diffusione di contenuti ai quali altri “interessati” potrebbero fruirne? In Facebook le reti che si vengono a strutturare tra gli utenti si basano sulle amicizie, conoscenze, relazioni più o meno già instaurate al di fuori dello schermo del pc; ma si potrebbero basare anche sulla condivisione di un interesse in comune, io ho già quattro contatti nati esclusivamente dalla passione per la letteratura. Una rete basata su un interesse e non su una conoscenza. Quindi la rete potrebbe espandersi notevolmente, superare di gran lunga il numero massimo dei 150 membri fissato dall’antropologo Dunbar. Questa regola dei 150 si basa sull’analisi di un villaggio, dove si tesse una rete di relazioni fondata su esigenze personali e obiettivi in comune diversi da quelle reti costruite intorno ad un interesse specifico. Forse il limite di Facebook è la sua generalizzazione (che però rappresenta una chiave di lettura per spiegare la sua popolarità), ovvero l’assenza di base di qualsiasi specializzazione nell’incentivare la socializzazione. Un social network specializzato come aNobii, basato sull’interesse della lettura, è l’esempio di una rete fondata sui libri, quindi specifica, dove tutti gli utenti mettono in condivisione le proprie esperienze di lettura. In Facebook questo non è immediato, bisogna impegnarsi a costruire una propria rete e magari utilizzarla per diffondere cose che ad altri interessano.

lunedì 20 ottobre 2008

La verità della città di K.


Lucas e Mathias sono due fratelli scaraventati a casa della nonna perché la guerra sta arrivando in città, la madre teme per la loro incolumità. Vanno a vivere in campagna, vicino la città di K. E’ la nonna che li prende a sé, ma li chiama “figli di cagna”, non li vuole tra i piedi, sono un peso. Il nonno è morto da tempo tutti, in paese, conoscono il motivo per cui è morto, avvelenamento, ma la nonna ha sempre negato. I due fratellini si fanno coraggio, e dopo i primi giorni difficili decidono di “esercitarsi” a non sentite più nostalgia della madre, di non provare più dolore fisico, di non soffrire più la fame: di non provare più nulla. E mentre i primi colpi di tosse della guerra pian piano si trasformano in tuoni capaci di far tremare pure l’anima, Lucas e Mathias si irrobustiscono, uccidono animali per non provare paura nell’uccidere, si picchiano a tal punto di superare la soglia del dolore, si rendono utili nel lavoro in campagna, raccontano tutto in un quaderno, ogni aspetto della giornata è riportato nella cronaca della loro vita. Le azioni dei due fratelli, i pensieri addirittura, sembrano partire da un unico corpo, una sincronia perfetta, a volte raggelante. Ma poi la guerra cala nel delirio, urla di donne a cui hanno strappato la loro intimità, corpi mozzati, case bruciate, soldati ubriachi, canti di gioia dei militari “liberatori” che si scatenano nelle osterie, i due fratelli assistono a tutto questo senza interpretare, senza conservare quelle immagini, semplicemente vivendo.
E se tutto quello scritto finora fosse solo una “grande menzogna”? Uno dei due fratelli non esiste, la campagna, i personaggi che popolano la città di K. e le storie che ruotano attorno ad essi sono solo il frutto di una grande, seppur realissima menzogna.
Trilogia della città di K. di Agota Kristof è un libro bellissimo ed allo stesso tempo terribile. E’ come poggiare i gomiti su un piano instabile. Ogni volta la superficie si ribalta, mostrando ora un lato della storia, ora un altro. Quale, tra questi due, è il lato “giusto” il lettore non può comprenderlo, ma può, al contrario, lasciarsi trasportare da una scrittura asciutta, diretta, priva di sfumature, composta solamente da immagini vivide, dai contorni netti ed affilati. Solo la guerra, a pensarci bene, è ciò che rimane: l’elemento di continuità tra un cortocircuito narrativo e l’altro. Tutte le storie, di tutti gli uomini, per quanto differenti nelle loro personali vicende, sembrano essere marchiate da un comune segno, quello della guerra. Lucas e Mathias, allora, altro non sono che testimoni delle vicende corali che la città di K. ha vissuto, se poi i due fratelli siano realmente vissuti questo, la città di K., non può dirlo. Neanche le pagine del libro possono farlo. E quando neanche la scrittura porta con sé la verità, allora chi può negare veramente l’esistenza dei due fratelli, Lucas e Mathias, durante la guerra che colpì la città di K.?

domenica 19 ottobre 2008

Pillola #6

Il ballerino punta dritto un’auto ferma al semaforo. Fa una piroetta, un mezzo giro sulle punte, poi srotola le lunghe braccia teatralmente abbozzando un sorriso sarcastico. L’automobilista, impassibile, getta gli occhi negli stop accessi di quello davanti. Allora il ballerino, sistemandosi la calzamaglia originariamente bianca, lo manda a fanculo puntando l’indice sul tergicristallo destro, mica su quello in macchina. C’è una bella differenza.

mercoledì 15 ottobre 2008

Un'occasione in più per conoscere

Il secondo capitolo è chiuso, ora aspetto le dovute correzioni, intanto il primo capitolo (dopo alcune modifiche) è finito. Sto lavorando al terzo ed ultimo capitolo, forse il più interessante e divertente. Ci sono un pò di contributi come quello di Vanni Santoni e un membro del collettivo di scrittori Kai Zen. Descriverò le diverse forme di narrazione in rete sopratutto nell'ambiente italiano, e i risultati sono molto concreti: in Italia si racconta tanto ed Internet rappresenta uno strumento sempre più importante per questo tipo di narrazione. Buona parte delle fondamenta del capitolo sono costituite dalle intuizioni di Henry Jenkins che, con il suo libro Cultura convergente, rappresenta un capo saldo dello studio sulla narrazione (partecipativa, individuale, fandom ecc...).
Ma il lavoro in questi giorni mi sta riservando anche altre sorprese. Grazie ad aNobii (il social network dei libri) sono venuto a contatto con Sempreinbilico, un pò per affinità librarie, un pò perchè il suo blog è davvero interessante e piacevole da leggere. Ora, da qualche messaggio su aNobii si è passati ad uno scambio epistolare con la mail, ci si è raccontati cosa facciamo, io le ho descritto il mio lavoro di tesi (supportato anche grazie al blog, dove è possibile leggerne gli sviluppi). Esce fuori che Sempreinbilico ha scritto un libro, estratti del suo blog raccolti in Vergine forever. Lei me lo manda per posta, ora è qui sulla scrivania, leggerò il libro e scriverò un mio parere su questo blog: tutto questo grazie alla rete. Come avrei potuto conoscere Sempreinbilico e la sua storia? Internet è l'occasione in più per conoscere e si aggiunge alle altre risorse informative a nostra disposizione forse, la differenza, sta nel fatto che con il web i contatti viaggiano lungo assi orizzontali, dove la comunicazione non è mediata, ma diretta e personale. Del libro vi farò sapere. Ah, dimenticavo, a presto una recensione molto sentita (da tempo non leggevo un romanzo così bello). Qual'è il libro in questione? Un pò di pazienza e scrivo tutto. Salut'.

giovedì 9 ottobre 2008

Penultimi


Felice che il primio capitolo sia stato nel complesso giudicato un buon lavoro (dovrò porre delle modifiche, i know), ora sto terminando il primo paragrafo del secondo capitolo. Mi sto concentrando sul rapporto marketing e Internet, riportando diversi studi statistici riguardo la diffusione della rete e, di conseguenza, delle sue forme comunicative. La parola d'ordine è conversazione e non semplice messaggio.
Nelle ricerche che sto effettuando è strano leggere il report pubblicato da Nielsen, riguardo il rapporto pubblicità e consumatore e, più precisamente, quanto i consumatori credono alla pubblicità. L'Italia è al penultimo posto di una classifica abbastanza numerosa. Col 32%, gli italiani si mostrano sostanzialmente scettici nei confronti della pubblicità, dopo di noi i danesi con il 28%. E' strano perchè questo è il paese della pubblicità, in fondo l'attuale primo ministro viene da quell'ambiente ed ha fatto le sue fortune grazie agli spot televisivi. Forse gli italiani si sono stufati della pubblicità in quanto tale: flusso continuo che, per quanto riguarda la televisione (il media più consumato dagli italiani), tiene in ostaggio i poveri telespettatori. Il nostro servizio pubblico, la Rai, per combattere una concorrenza agguerrita con l'emittenza privata, Mediaset, si è abbassata alla commercializzazione forsennata (perdendo il ruolo di servizio pubblico, ovvero lontano da logica commerciali e più vicino alle esigenze dei cittadini) rinunciando alla qualità a favore della sopravvivenza. Non è un caso che la tv satellitare stia registrando numeri sempre più importanti. Forse in Italia la televisione sta perdendo, o ha perso del tutto.
Tiro un sospiro di sollievo quando penso che c'è Internet. Davvero.

lunedì 6 ottobre 2008

Oscillococcinum


Sabato mi sono preso tutta, o quasi, la pioggia di Roma. Sono raffreddato ed ho la tosse. Addirittura mi cola il naso, tanto per capirci. Il pronto intervento materno mi ha tempestivamente consigliato l'assunzione in dosi massicce di Oscillococcinum, un medicinale omeopatico che sta facendo il suo lavoro (tosse, hai giorni contati). Sabato sera sono rimasto a casa, precisamente infagottato nel letto. Ho finito di leggere Il corpo e il sangue di Eymerich di Valerio Evangelisti (poco attraente, poco tutto); mi sono letto tre quarti dell'ultimo numero dell'Internazionale (c'è un articolo di David Rieff sulle imminenti elezioni presidenziali americane molto interessante, mi ha colpito la definizione di Obama come la figura medievale del Re Taumaturgo, da leggere). Ieri sera sono stato al cinema con Fede, ci siamo piacevolmenti intrattenuti con l'ultima fatica dei fratelli Cohen, Burn after reading: una divertentissima e cinica carrellata dei sintomi dovuti alla decadenza (culturale? sociale? economica? politica? un pò tutto?) americana, da vedere.
E dopo questo week end molto acculturato, da bohemien un pò smorfiosetto, ritorno a scrivere la tesi, si prospetta una settimana campale, dove l'aggettivo campale non descriverebbe al meglio lo "scuotimento" dei miei poveri neuroni.

domenica 5 ottobre 2008

Pillola #5

Cammina veloce sotto la pioggia fitta. In una mano regge l'ombrello, con l'altra parla al telefonino. Piange. Se la prende con qualcuno definendolo un immaturo, uno che ha perso la testa solo per una notte, niente più. Dall'altra parte del telefono qualcuno tenta di consolarla. Ma lei risponde con un laconico no. Alla fine aggiunge "e poi dovresti vedermi ora, seppur con l'ombrello, mi sono inzuppata". Oggi è una brutta giornata.

giovedì 2 ottobre 2008

Dunbar può essere smentito da Facebook?

Sto scrivendo l'ultimo paragrafo del primo capitolo della mia tesi. L'impegno è quello di descrivere a tutto tondo il fenomeno dei social network su Internet partendo, per forza di cose, da studi e teorie precedenti che possono spiegare il fenomeno. Tra queste c'è la teoria dell'antropologo inglese Dunbar, conosciuta come il numero di Dunbar che dice:"le dimensioni di una vera rete sociale sono limitate a circa 150 membri". La spiegazione è di carattere fisico, la nostra complessità cerebrale ha dei limiti nel poter mantenere saldi rapporti con più di 150 individui e, allo stesso tempo, di carattere sociale, una rete limitata permetterebbe di escludere i soggetti non collaborativi.
Facebook sembrerebbe smentire il numero di Dunbar, ci sono iscritti che dichiarano di tessere relazioni con un numero superiore ai 150 membri. Ma la rete sociale personale che su Facebook viene costruita, è davvero una rete di qualità? Domande a cui io non rispondo (non credo di avere gli strumenti e l'esperienza per farlo), però l'interrogativo è sorto, eccome se è sorto.
Salut'.

mercoledì 1 ottobre 2008

Realtà e finzione si fondono


Nell'intrattenimento digitale appare sempre più evidente la ricerca a modellare un mondo credibile, quindi le più sfrenate fantasie si possono trasformare in immagini concrete. La letteratura ha intrapreso questa strada molto tempo fa, ancor prima che esistesse la meravigliosa illusione chiamata cinema. Oggi gli effetti digitali rendono qualsiasi cosa "possibile". E questa tendenza si fa largo in tutti i campi, compreso quello della musica. Il video qui sopra è quello dei Royksopp, gruppo elettronico norvegese da me particolarmente apprezzato; il pezzo si intitola What Else Is There. E' proprio guardando il video che ho pensato a quanto scritto sopra. Il surrealismo del pezzo si fonde perfettamente con le immagini che scorrono. Una donna che si muove sospesa in aria (simile ad un avatar di SecondLife), delle case che si sradicano dal terreno e lentamente scivolano via. Una foresta immersa nella nebbia nasconde parti di realtà. Ma quale realtà poi? Tutto questo mi ricorda due libri: Tideland e Il mare di legno.
La tesi procede, posso mettere (quasi) un punto al primo capitolo.

martedì 30 settembre 2008

E come va la tesi?


Sono entrato nella fase produttiva del progetto "si, voglio laurearmi". Sto spendendo neuroni e diotrie nella scrittura del primo capitolo della tesi. Premessa su cosa sto scrivendo (ovvero non ti andare a ricercare post vecchi): sto analizzando come i socialnetwork influenzano, incentivano, diffondono, stimolano le pratiche letterarie e le strategie editoriali. Da questo, però, c'è una base abbastanza solida che funge da premessa, quindi capire meglio cos'è l'orizzontalità nella rete e se davvero si può riscontrare esclusivamente su Internet. Comprendere come le pratiche sociali si sviluppano nella rete, partendo dal concetto di interazione (che sembra una parola tanto semplice, ma che nasconde una profondità di signficato bellissima).
E poi le pratiche letterarie non si riducono a semplici scritti nati sul web e in un secondo momento riversati nelle versioni cartacee vendute in libreria, come spesso accade nell'ambiente musicale dove le myspace-band emergono e poi, alcune di queste, si affacciano sul mercato discografico (in passato ciò stupiva notevolmente i giornalisti di settore, oggi è pura quotidianità). No, per fortuna il fenomeno è poliedrico e eterogeneo. Per esempio, sto analizzando una pratica narrativa (forse letteraria?) come quella della fan fiction che, guarda un pò, anche in Italia è battuta. Sto affrontando le differenze tra i diversi socialnetwork, la prima distinzione che riesco a delineare è quella tra i tipici socialnetwork che fungono da connettori tra le persone che si conoscono (io ho tra i miei amici "Libro Faccia" ex-compagni delle elementrari) e quelli specializzati come, per esempio, aNobii (che descriverò nel dettaglio).
E poi... e poi è meglio che torno a scrivere. Salut'.
Postilla squisitamente NERD: nella foto un esempio grafico di socialnetwork.

sabato 27 settembre 2008

Rincorrendo un pensiero


Ci sono momenti nella giornata durante i quali penso al blog e a quello che potrei scrivere. Affiorano idee, commenti, polemiche e recensioni che si spintonano nei miei pensieri, ognuno vorrebbe essere il primo a trasformarsi in parole. Ma poi le ore scorrono, gli impegni si accatastano tutti dritti dritti sulla mia scrivania ed ecco che le idee volano via, chissà per dove poi. Però qualcosa è rimasto. Ho letto Palomar (il nome al personaggio principale del libro è un chiaro riferimento all'osservatorio astronomico vicino Los Angeles) di Italo Calvino. Da tempo il libro attendeva impaziente sul mio comodino (che sembra un parcheggio di libri mal custodito ), non potevo non notare un evidente strato di polvere spessa e grigiastra concentrata sulla copertina. Leggendolo mi maledicevo: come ho fatto a non leggere questi racconti prima di oggi? Palomar è un libro stracolmo di pensieri, di idee e di riflessioni tendenti verso la “filosofia masticata”. Intendo, per filosofia masticata, quella capacità della filosofia di farsi capire da tutti, e che non sempre viene adottata. La semplicità, a volte, rende tutto molto complesso. Credo che in questo Italo Calvino abbia sempre creduto. Il libro è consigliato, naturalmente; e non posso fare a meno di riportare una mia piccola e modestissima reazione post-lettura.
Come scrive Calvino nella nota marginale, il libro è suddiviso in tre aree tematiche: la prima è dedicata all’esperienza visiva, la seconda approfondisce il tema antropologico e culturale, la terza, infine, tende a caratterizzarsi nel tema della riflessione. E’ la seconda area che ho trovato più interessante, in particolare il racconto in cui il signor Palomar osserva dal suo terrazzo i tetti di Roma. Una particolarissima descrizione di Roma vista dai tetti (sembra quasi un dipinto minuzioso, attento a riportare tutte le linee, le luci e le ombre delle architetture) introduce questa riflessione
:«Nulla di tutto questo può essere visto da chi muove i suoi piedi o le sue ruote sui selciati della città. E, inversamente, di quassù si ha l’impressione che la vera crosta terrestre sia questa, ineguale ma compatta, anche se solcata da fratture non si sa quanto profonde, crepacci o pozzi o crateri, i cui orli in prospettiva appaiono ravvicinati come scaglie di una pigna, e non viene neppure da domandarsi cosa nascondano. Così ragionano gli uccelli, o almeno così ragiona immaginandosi uccello, il signor Palomar. “Solo dopo aver conosciuto la superficie delle cose, conclude, ci si può spingere a cercare quel che c’è sotto. Ma la superficie delle cose è inesauribile».
Insomma, non leggerò mai tutti i libri che la vita mi offre; non conoscerò mai tutte le persone che la terra accoglie; non capirò mai tutte le teorie che i pensatori producono; non saprò amare mai tanto quanto basta; non toccherò mai tutta la superficie del mondo eppure non posso fare a meno di provarci. Io, noi siamo incompleti. Ecco perché rincorriamo perpetuamente la perfezione e non la acciuffiamo mai, ma facendo questo, diamo vita a cose fantastiche ed orribili allo stesso tempo.
«Rileggendo il tutto, m’accorgo che la storia di Palomar si può riassumere in due frasi: “un uomo si mette in marcia per raggiungere, passo a passo, la saggezza. Non è ancora arrivato”».
Postilla decisamente personale: ho finito gli esami. Ci tenevo a scriverlo, ohibò.

sabato 20 settembre 2008

Novità, libri e una piccola critica

Un bel po’ di novità. La prima, come potete notare, è la grafica. Dopo un anno e qualche mese con lo stesso vestito, il blog meritava qualcosa di nuovo. Ho usato i colori primari e un paesaggio elettrico, si perché di questi tempi sono molto elettrico (in tutti i sensi). Altra novità, ho ampliato la sezione contatti, oltre alla mail ci sono i contatti Facebook e aNobii. I tags sono stati formattati a nuvola, quelli più utilizzati risultano essere i più grandi e, via scorrendo, i meno etichettati se ne stanno piccoli in fondo. Due cosette in fase di allestimento: la prima è quella della raccolta dei miei racconti Ore piccole che vorrei farvi scaricare ma, sinceramente, non so proprio come fare. Consigli? La seconda riguarda i miei link, vorrei risistemare il tutto, dividendo gli amici blogger (e non solo) dai siti più istituzionali. Va bè, con un po’ di pazienza tutto si sistema.

Per quanto riguarda le mie ultime letture ho due bei consigli da proporvi. Il primo romanzo è quello di Vanni Santoni, Gli interessi in comune. Un romanzo che si sviluppa in racconti, anzi, per meglio dire, leggende da bar sorprendentemente narrate. La provincia toscana fa da sfondo. Il libro è il susseguirsi delle vicende di un gruppo di amici che provano diversi tipi di droga (i nomi delle droghe scandiscono ogni capitolo). Alcuni personaggi emergono con grande forza, fra tutti il Mella che in alcuni tratti si scolla dal normale scorrere della storia, mostrandosi a tutto tondo. Non è facile in un romanzo far emergere così bene i personaggi, e quando questo accade, il merito è dello scrittore che riesce a collocare nell’immaginario del lettore una figura nitida, quasi palpabile. Si parla di giovani, ma se ne parla in modo diverso, decisamente più cinico e distaccato. Una letteratura sui giovani lontano dagli stereotipi brizziani (non che Brizzi, con Jack Frusciante non mi sia piaciuto, ma avevo diciasette anni) o, dio ci salvi, da quelli mocciani (mai provato). E’ da leggere.

L’altro romanzo è Despero di Gianluca Morozzi. Mi è stato regalato dalla Fede per il mio compleanno. Azzeccatissimo. La storia narra del giovane Kapra, chitarrista bolognese che forma insieme ai suoi amici di sempre la rock band Despero. Il libro scorre via come niente, e questo è il merito di Morozzi (ah, se vi capita leggetevi Black out: adrenalina allo stato puro), che sa raccontare con una leggerezza e, qualche volta, con fare scansonato, storie d’amore, musica, birre e assoli di chitarra elettrica. C’è un velo di malinconia che pian piano si appesantisce (forse un po’ troppo, forse un po’ troppo nostalgico), ma nel complesso il romanzo è spassoso e frizzante.

Infine, lascio due righe due riguardo l’ultimo film di Ferzan Ozpetek: deludente è dir poco. Non che il regista turco mi abbia fatto impazzire in passato, ma quando finiva un film un messaggio c’era, qualcosa riuscivo ad assimilare da quella storia. Nel film Un giorno perfetto tutto è miseramente statico e, allo stesso tempo, scontato e gratuito. L’impianto narrativo pessimo, le scene di violenza sono gratuite e mai contestualizzate e i personaggi recitano in ruoli stereotipati. E poi basta con ‘sta trasposizione in pellicola di romanzi tristissimi, esistenzialisti, grondanti di pessimismo all’italiana. Il messaggio che passa è la visione di una società vista con gli occhi di chi, ogni sera, placa i suoi borbottii sul costume italiano sorseggiando Martini (con oliva verde, please). Scusate lo sfogo.

giovedì 18 settembre 2008

Pillola #4

"Perchè ti sta venendo la chierica?"
"Perchè l'aureola è troppo vicina e brucia i capelli".
"Ah".

giovedì 4 settembre 2008

Pillola #3

Nino apre le ali, una leggera brezza lo sfiora. Nino è cielo e terra, Nino della notte si colora.
E così la gente si accalca ai piedi del palazzo, i vigili del fuoco si fanno spazio tenendosi stretto il loro casco. Il Lungotevere, senza neanche accorgersene, continua a far scorrere lento le auto.

lunedì 1 settembre 2008

Pillola #2

La signora anziana legge un giornale gratuito e commenta scandalizzata lo “scempio” che ieri hanno imbastito alla stazione. «Non se ne può più», confessa con sdegno alla sua amica accanto, «questi vanno presi a mazzate, punto e basta». L’amica, senza distogliere lo sguardo dalla rivista scandalistica che in copertina è un bel collage di chiappe al vento, fa cenno di si con la testa. «E poi», incalza la prima, «’sti napoletani non c’hanno rispetto, sono proprio ignoranti». L’altra, continuando a leggere dice «il marito di mia figlia è di Napoli». «Che brava persona», risponde con tono asciutto la prima girando pagina.

giovedì 28 agosto 2008

Scrivo ti amo con la segatura


Non ho resistito. Nel blog di Choppa c'è il booktrailer di "Nel dubbio ti amo", libro e dvd che raccolgono i "migliori" videomessaggi del programma The Club. Non ho resistito a scriverne anch'io per due motivi. Il primo è che nella convulsa "zappata" serale in tv, spesso non riesco a scollarmi dallo schermo quando ci sono le clip di The Club. Sono eccezionali, raro esempio di narcisismo televisivo. Secondo, perchè cercando su You Tube qualche altro video, ho trovato vere e proprie perle di umanità pavoneggiante che, non volendo (ma siamo veramente sicuri?), rende tutto così meravigliosamente grottesco. In una di queste (contenuta nel video qui sopra) viene narrata una follia d'amore: "ho scritto ti amo sulla spiaggia, alla mia ragazza, con la segatura e la tanica di benzina... e l'ho infuocato". Questo, signori miei, è Moccia hardcore.

mercoledì 27 agosto 2008

Eravamo meglio noi


In questo periodo le mie letture sembrano legate da una qualche logica per nulla esplicitata, in qualche modo casuale. E’ strano, dopo aver terminato la lettura di un libro, riscontrare una serie di legami con il precedente. Se in passato facevo ricorso al caso, oggi inizio a preoccuparmi. Che le mie scelte, apparentemente casuali, nascondano un fil rouge spontaneo? Una lettura influenza la scelta dell’altra? Probabilmente si.
Dopo aver letto Narratori delle pianure, mi ritrovo tra le mani Altri libertini di Pier Vittorio Tondelli e i valori condivisi tra i due libri sono le ambientazioni: ancora la pianura padana, in questo caso Reggio Emilia e Correggio principalmente. In quest’ultimo libro, che ho trovato semplicemente fantastico, c’è quell’analisi sui gruppi degli anni settanta che tanto (e pure troppo) hanno offerto a narrazioni future. C’è tutto il disorientamento di una generazione che inizia a scricchiolare, dove la sua unità stava per frammentarsi in un arcipelago di piccole comunità deboli ad affrontare le sfide degli anni ottanta. Ma l’aspetto più sorprendente del libro, che è composto da sei racconti, uno dei quali intitolato proprio Altri libertini, è il linguaggio. E’ lo strumento che lo scrittore utilizza per coinvolgere il lettore in quelle atmosfere. La provincia e i suoi ritmi, la voglia di strapparsi le radici da quei paesaggi sonnacchiosi e prendere il largo, tutto questo è meravigliosamente narrato da Tondelli. Le osterie, con i suoi vecchi seduti su tavolacci ad osservare quei giovani così diversi, ma tale sorpresa svanisce sotto i colpi martellanti del vino. Gli amori difficili, il sesso, i rapporti controversi, l’instabilità dei sentimenti, l’egoismo nell’appagarsi con il prossimo: le parole di Tondelli sono dirette e spietate. E la provincia è sempre lì, statica. Interessante è il confronto tra Bologna, dinamica, giovane, interessata e vitale e Reggio Emilia, più lenta e borghese; Correggio, invece, interpreta i vuoti della provincia, i silenzi prolungati.
I giovani, infine, loro si concentrano in personaggi-archetipo che si muovono storditi, innamorati, intimoriti, insicuri e crudelmente consapevoli del futuro. E’ un libro da leggere perché dopo tante serenate alla generazione settantina che fu (alcune davvero pesanti, retoriche e nostalgiche), qui c’è una vena pura di esperienze ancora immune dalle speculazioni del tipo “eravamo meglio noi di voi”. Da leggere.

sabato 23 agosto 2008

Pillola #1

Pillole è la nuova rubrica di questo blog. Senza alcuna cadenza precisa posterò piccole storie che vivo. Buona lettura.
Il bus 86 fermo al capolinea Termini sembra una piccola balena con le branchie aperte. La gente entra con calma, tanto il motore è spento. Una filippina chiacchiera al telefono, il tono di voce aumenta di frase in frase. Una famiglia di turisti, tutti bianchissimi e con i capelli biondissimi, entra affannata nel bus, i bambini si precipitano ad occupare i sedili, il papà se la ride. Un uomo dalla pelle nera e asciutta entra con occhi tristi dalla porta di fronte alla posto di guida. Si siede di fronte a me non nascondendo un certo stato di ebbrezza, causa il forte odore di alcool. Nasconde il viso dal sole ancora in cielo, fiero e rovente, nonostante le sei e mezza di pomeriggio. La voce della filippina aumenta, ora si mette anche a gesticolare, quasi volesse descrivere con ampie bracciate ciò che racconta a chi sta dall’altra parte del telefono. Il bus parte borbottando un po’, si accende l’aria condizionata, a confermarlo un leggero ronzio. La voce della filippina è assordante, il tipo di colore sbotta, le urla un richiamo, quella si gira staccando il cellulare dall’orecchio, lui le fa il gesto di zittirsi, lei alza le spalle e riprende a cinguettare. Il resto del bus si rammarica per la battaglia persa. La famiglia di turisti finge di interessarsi alla guida della Lonely Planet; una ragazza aumenta il volume dell'Ipod. Il valoroso uomo di colore ora affonda il viso nelle sue mani nodose, si dispera, dovrà sopportare quella voce stridula fino al momento della sua fermata. Tanto vale chiudere gli occhi e lasciarsi cullare dall’ammortizzatore.

venerdì 22 agosto 2008

Da una vetrina osservo il mondo


Bazzicando nella rete, così per caso, ho conosciuto la voce di Cat Power. Non conosco il suo album, ma di certo The Greatest è un bel pezzo. Semplice, con voce morbida e intensa. Mi fa pensare ad una tazza di caffè fumosa sorseggiata in un locale che si affaccia su di una strada affollata, con magari una leggera pioggerellina e qualche impermeabile che svolazza.

Ci sono dei momenti in cui preferisco stare dalla parte della vetrina e osservare la gente muoversi. Non riesco a fare a meno di buttare un occhio sull’espressione sorpresa di una signora di mezza età, mentre legge il settimanale del pettegolezzo, o della camminata ciondolante di un ragazzino vestito da rapper, che fa gracchiare il suo telefonino con i pezzi hip hop. Mi piace capire il perché, in certi luoghi, esistono certi usi ed in altri meno. Mi piace osservare l’atteggiamento che una determinata persona manifesta, e comprendere il perché lo faccia, proprio in quel modo ed in quel preciso momento. A volte mi sento un esploratore (con tanto di cappellone da safari) che con la sua lente scopre ed analizza la fauna circostante. La mia giungla da scoprire è la città e le sue mille sfaccettature. E dalla vetrina di un bar c’è tanto, ma davvero tanto da capire.

Tutto questo per arrivare al nocciolo della questione: chi mi offre una tazza di caffè?

giovedì 21 agosto 2008

Il ritorno: impegni, propositi e letture

Finiscono le vacanze e tornano a bussare alla porta gli svariati impegni abbandonati qualche giorno più in là sul calendario. La priorità è la tesi, o meglio, le tesi visto che dovrò scriverne due (stravaganze del mio corso di laurea). Sto ultimando le letture. Quella più impegnativa riguarda la diffusione dell’editoria su web attraverso gli strumenti di aggregazione come blog e social network. Un lavoro davvero bello che si plasma meravigliosamente con i miei, più che evidenziati su questo blog, interessi per la letteratura. C’è da leggere, c’è da scrivere, c’è da discuterne. Insomma, quello che si prospetta è un autunno caldo.

Dopo il viaggione in America sono andato a refrigerarmi a Marano Equo, è da quando ho zero anni che ogni estate vado da quelle parti, ho un bel po’ di amici e la settimana vola via senza grandi noie. Questa estate, ricca di esperienze, è stata anche la scoperta di una serie di persone davvero interessanti, qualcuna stravagante, qualcun’altra riflessiva e metodica, e anche qualche riscoperta, cioè persone che si pensavano di conoscere ed invece hanno mostrato nuove doti, belle sorprese.

E poi, come ogni estate, ho pensato tanto. E di idee ne sono maturate un bel po’. Tra queste c’è quella dei miei racconti. Sto per terminare la raccolta (la seconda, sudata e spesso trascurata) dei miei nuovi racconti. Chi li ha letti, gente fidata, dal palato sopraffino, li ritiene un passo in avanti rispetto a quelli di un anno e mezzo fa. Io non saprei giudicarli, anche se quando digito il punto definitivo di ogni racconto rimango abbastanza soddisfatto. Ho seguito, e sto seguendo, i consigli di diverse persone che mi stanno aiutando a tirar fuori la giusta dose di personalità, è un esercizio non facile perché obbliga a mettersi in discussione, a prendere parte al racconto inserendo fatti, emozioni e pensieri provenienti dalla propria esperienza.

Infine le letture. L’estate per me è anche questa, concedersi il lusso di passare più tempo con i libri. Ho letto un paio di bei romanzi. Una buona prova è quella di Enrico Brizzi con il suo L’inattesa piega degli eventi. Io con Brizzi c’ho delle difficoltà nell’approccio con la sua scrittura. Escludendo il primo e citatissimo romanzo (Jack Frusciante è uscito dal gruppo), le altre sue opere le ho trovate noiose, macchinose e poco coinvolgenti, ma a leggerne in giro sulla rete l'ultimo romanzo sembrava interessante e segnava una certa discontinuità col passato. Effettivamente è così. Immaginatevi un’Italia che nel 1960, oltre ad ospitare le Olimpiadi, è dominata politicamente da Mussolini. E poi di un giornalista sportivo, tale Lorenzo Pellegrini, costretto a scontare le sue passioni per le donne con la “retrocessione” a seguire il campionato di calcio della colonia dell’Africa Orientale. Da qui prende vita un mondo inventato fino al più piccolo particolare da Brizzi: una dittatura ipotizzata che si confronta con la realtà del 1960. Niente è lasciato al caso, Brizzi architetta con minuziose descrizioni anche l’assetto politico-sociale dell’Italia mussoliniana: una rottura definitiva con la Chiesa; una dittatura morbida in patria (anche se ancora temuta), baldanzosa e miseramente colonialista nei territori controllati. Per il giornalista Pellegrini il viaggio forzato sarà l’occasione per scoprire e comprendere l’altra Italia, quella di un’Africa che scuote le spalle per scrollarsi di dosso il peso del colonialismo. Il resto è il susseguirsi delle partite e l’avventura del San Giorgio di Addis Abeba, capitanato dallo statuario Aregai, alla conquista del titolo per poter partecipare al Torneo delle Sette Repubbliche (dove si affrontano tutte le squadre più forti dell’Impero, compresa la fortissima Juventus). Bello, in alcuni momenti un po’ ripetitivo, ma comunque un buon romanzo. Interessante l’arrivo del San Giorgio a Roma per partecipare al torneo. Nella capitale Brizzi dipinge l’atmosfera del declino della dittatura con le conseguenti tensioni e reazioni della società disorientata e in mobilitazione.

L’altro libro, terminato di leggere pochi giorni fa, è Narratori delle pianure di Gianni Celati. Sono incappato nella scrittura di Celati grazie a degli studi e approfondimenti, di lui non sapevo assolutamente nulla. Vi basta sapere che il libro in considerazione venne recensito da Italo Calvino, e non per galanteria, ma per una profonda relazione con lo scrittore di Sondrio, infatti nei trenta racconti scritti da Celati, scanditi dal susseguirsi di un viaggio lungo la Pianura Padana (graficamente rappresentato da un percorso su cartina), c’è una certa somiglianza con la scrittura calviniana. Ma se Calvino sembra scrivere con trasparenza e leggerezza, Celati, al contrario, fa uso di immagini concrete e solide, parole sfoltite dal suono, semplici e dirette. I racconti a volte si impregnano di una strana sensazione di vuoto. Il vuoto della pianura, i silenzi delle strade immerse nella nebbia, il cigolare ritmico delle biciclette. Anche i personaggi, descritti a tratti essenziali, prendono parte a questa atmosfera di precario equilibrio, sono immuni da ogni tipo di ulteriore approfondimento o di considerazione etico-sociale: sono i personaggi plasmati per quella storia, punto. Di certo non capita spesso di leggere storie simili e, ancor più certo, è il fatto che in queste storie il distacco, la negazione dell’autore, il senso di vuoto (mi ripeto) è profondo e palpabile. Questo libro lo considero l’altra faccia della novellistica italiana contemporanea, senza proclamare alcuna pretesa letteraria, solo una personale constatazione, quella che nasce dal ramo nodoso e straripante di linfa di Italo Calvino, ma che poi germoglia nelle zone d’ombra, quelle dove non sempre il sole riscalda e dove le storie si fanno sottili come lamine.

giovedì 7 agosto 2008

Avventure a stelle e a strisce


Un piccolo assaggio fotografico lo trovate qui, c'è un pò di tutto ben mescolato. Una delle avventure di questo viaggio in America che effettivamente ci è piaciuta, e mica poco, è quella del citofono di casa del Piggi. Quest'ultimo vociferava che avrebbe scritto lui riguardo questa storiella, non voglio sottrargli l'esclusiva (se però aggiorna il blog, magari...). Domani me ne vado a Marano Equo, come ogni estate vuole. Passo dai grattaceli di New York ai vicoli minuscoli e silenziosi (che neanche GoogleMap riporta) della provincia. Un bel salto di dimensione, non c'è che dire. Ci si rivede poco dopo le ferragosto: buona estate a tutti!
Postilla squisitamente personale: ma perchè l'acqua del water americana è così alta? Ma alta alta, roba che sfiora le rotondità posteriori. Misteri mai risolti per noi miseri europei.
Seconda postilla sempre squisitamente personale: e perchè, se una pietanza, già ben condita, deve essere nuovamente condita fino a perderne il suo sapore originale? Altro mistero irrivolvibile per i nostri stomaci italiani.
Nella foto un cino-tirolese si appresta a fotografare per la ventiquattresima volta la comitiva occhi a mandorla in gita alle cascate del Niagara.

venerdì 18 luglio 2008

ItaloAmericani





Siamo ufficialmente in America. Il viaggio è andato bene, lungo, un pò noioso, ma sostanzialmente tranquillo e senza imprevisti. Giusto all'atterraggio c'è stato uno sbrattare corale, io e Fede abbiamo tenuto fermi i nostri stomaci con grande forza e coraggio.
All'aeroporto abbiamo beccato il Piggione che ci ha teso una trappola da dietro un muretto. Dopo una brevissima sosta a casa siamo usciti ad esplorare Philadelphia. L'impatto non è stato assolutamente traumatico, anzi. Philadelphia è una citta di due milioni e mezzo di abitanti, con un'architettura molto simile a quella delle città nord europee: case basse, strade ordinate, molto verde. Non c'è l'atmosfera della grande metropoli. Abbiamo passeggiato in lungo e in largo il centro, e se non fosse stato per il sonno che ci attanagliava, avremmo girato più a fondo le strade. Oggi dedicheremo l'intera giornata a visitare Philly (la chiamano così, very friendly). Gli housemates del Piggio, i suoi coinquilini insomma, sono davvero simpatici, tutte e due spagnoli. Ieri sera, nonostante il sonno parlavamo della Carrà internazionale (che anche in Spagna è conosciutissima) e di un tale Bruno qualcosa, un cantante italiano trasferitosi in Spagna negli anni settanta e famoso per aver cantato molte canzoncine per bambini (una sorta di Cristina D'Avena).
Insomma, l'impatto è più che positivo, siamo curiosissimi e elettrizzati anche perchè domani si va a New York, la grande mela. Un salutone dagli Italoamericani. Oh Yeah.

mercoledì 16 luglio 2008

Domani si parte


Domani si parte. Stiamo nel pieno dei preparativi, le valigie invadono la camera e, come sempre, la lista “delle cose da portare”, insieme a quella “delle cose importantissime da portare”, sembra non finire mai. In tarda mattina prendiamo il volo, ci aspettano nove ore di viaggio, mi sono portato un paio di libri, Fede decanta grandi dormite così per ammorbidire lo shock del fuso orario (ma davvero è cosi traumatico?), io non credo di riuscire a dormire, la mia testa è un vortice di pensieri. Comunque, a breve avrà inizio la nostra avventura a stelle e a strisce.

Prima tappa, naturalmente, Philadelphia dove atterreremo e dove alloggeremo nella Piggi’s house (o Piggi’s room, mi sa che è meglio). Dopo una breve pausa, si riparte per New York, con noi verrà anche il Piggi che già c’è stato. Il nostro albergo è nel quartiere di Chelsea, Manhattan. Cercherò di immortalare il più possibile e, per evitare noiosissime sequenze fotografiche senza fine, posterò una sintesi dei giorni, poi chi vorrà (pazzo, incosciente, non sai a cosa vai incontro) potrà rivedersele tutte a Roma.

Cercherò di essere reperibile su Skype, chi mi volesse contattare potrà trovarmi ogni tanto da quelle parti, vi scriverò quando e a che ora trovarmi collegato. Nient’altro, l’attesa si fa sentire, spero il peso delle valigie di meno. A presto, ciao a tutti!

mercoledì 9 luglio 2008

Black list


“Ma ci sono libri che non ti sono piaciuti?” Effettivamente, parlando con chi bazzica sul mio blog, qualcuno mi ha chiesto se, oltre ai bei libri recensiti, esistessero libri da black list, quelli che proprio non mi sono piaciuti. E’ mio costume non scrivere di quei libri che a me sono sembrati poco interessanti, non per censura, neanche per sferragliare a testa bassa sui binari d’acciaio dei libri più venduti, tanto meno per non offendere l’autore (se poi davvero leggerà questo blog); scrivo quando un libro ha acceso un interruttore nella mia testa: nuova luce in una zona d’ombra. E quando si rischiara un luogo poco conosciuto, è la curiosità e l’interesse a far da padrone, sono loro che mettono in moto i neuroni e mi permettono di scrivere e commentare.

I giudizi, di per sé, non mi piacciono. Insomma, un libro è qualcosa in più di un aggettivo “bello” o “brutto”; un libro è molto meno di una sintesi esaustiva e totalizzante del mondo che viviamo. Un libro è un’impressione, una sensazione condensata in parole, una struttura narrativa formale che nel racconto trova un valido strumento per comunicare qualcosa di più profondo: lo schema del nostro ragionare. Per me leggere è connettersi con i pensieri dell’autore, è un confronto nella sfera virtuale e orizzontale della lettura tra chi comunica con un testo e chi riceve (non passivamente, perché leggere è attività, è azione intellettiva, o no?). Può accadere che la comunicazione sia disturbata. I fattori? Ce ne sono milioni, sono incalcolabili. E’ in tal caso che un libro, a mi giudizio, non riesce ad esprimere il suo potenziale nella soggettività del lettore. Ci sono stati libri, se pur validi, se pur giudicati buoni o addirittura ottimi libri, che io non ho ritenuto tali. Ma questo va oltre un’analisi stilistica, rientra in quello scritto qui sopra. Ecco perché non scriverò di quei libri che non mi sono piaciuti, almeno che, questi ultimi, non trasmettano comunque qualcosa, un valore aggiunto, della benzina per il mio cervello.

Quindi niente black list, nessuna Serie B secondo Andrea. Preferisco raccontarvi quello che provo leggendo qualcosa di stimolante, ricreare in qualche modo l’atmosfera che ho percepito leggendo storie coinvolgenti e penetranti. I libri sono così tanti che, per forza di cose, non si riuscirà mai a leggerli tutti, tanto vale progettare tattiche di lettura seguendo il proprio gusto, il proprio istinto e, ogni tanto, lasciarsi trasportare dal caso.

L'illustrazione è di Ricardo Biriba.

mercoledì 2 luglio 2008

Come ti remixo i Radiohead


In questi giorni l'ultimo album dei Radiohead In Rainbows gira a ripetizione nelle mie orecchie, lo trovo semplicemente splendido. E allora, visto che di televisione ne vedo poca, e di video musicali meno che mai, perchè non cercare quelli dei Radiohead sul web? Qui sopra ho postato uno degli ultimi singoli, Nude, a mio parere un gran bel pezzo e qui sotto, invece, vi propongo una curiosa rivisitazione "analogica" del singolo. Geniale. Per quanto riguarda il video ufficiale, non posso esimermi da una gran risata nel vedere Thom Yorke divincolarsi a rallentatore nella furia del vento. Per il remix, ripeto, geniale.
Considerazione squisitamente personale e fuori tema: fa veramente male la palestra dopo 4 mesi di sciopero muscolare.

Big Ideas (don't get any) from James Houston on Vimeo.

martedì 1 luglio 2008

Aggiornamenti (dopo un pò di silenzio)


Dopo un bel po’ di tempo torno a scrivere, scusate il lungo silenzio, ma il mese di giugno è stato pieno di impegni e comunque ne sono uscito tutto intero. Di novità ce ne sono, eccome. La prima, e senza dubbio quella che più ronza nella testa in questi giorni, è il viaggio che dal 17 luglio intraprenderò insieme a Fede per gli Stati Uniti. Destinazione Philadelphia, ospiti del Piggione, curioseremo nel paese a stelle e strisce e forse terrò aggiornato il blog con foto e commenti.

Per quanto riguarda la lettura, invece, ho un po’ di libri in arretrato da proporvi. Non vorrei scrivere per ognuno di questi un post, preferisco quindi lasciarvi un commento globale a questi tre titoli sperando che possano stuzzicarvi. Il primo che ho letto (ordine cronologico) è La banda Bellini di Marco Philopat, romanzo incentrato sulle vicende giovanili e politiche nella Milano degli anni settanta. Io lo definirei un libro di scrittura orale, si perché Philopat riversa nel romanzo le voci dei protagonisti, sembra quasi ascoltare un intervista in presa diretta che non esclude i suoni, le imperfezioni, i balbettii, i rumori insomma che disturbano l’atto del dialogare. La storia segue l’evolversi dei movimenti di sinistra dalla fine degli anni sessanta ai durissimi anni settanta, fino a giungere allo sgretolamento della coesione giovanile. Il libro, a mio parere, qualche volta si incespica, ci sono alcune zone grigie che allentano un po’ l’attenzione, ma complessivamente è un buon libro e una buona testimonianza di quegli anni.

Ho letto, subito dopo, alcune storie di Jack London, precisamente tre racconti della raccolta Racconti dello Yukon e dei mari del Sud, assaporando per la prima volta la scrittura tagliente e asciutta dello scrittore di San Francisco. I racconti di London hanno come protagonista la natura e le sue manifestazioni, a volte splendide, altre volte spietate. Il confronto tra uomo e natura, nel freddo del Nord America o nel caldo asfissiante dei mari del Sud, si incentra sull’leitmotiv “la natura non conosce il senso dell’etica”, e di conseguenza uccide o lascia vivere, sottrae o dona senza alcuna remora. Ho letto alcuni dei racconti di London perché, dopo aver visto Into the wild e approfondendo la storia di Christopher McCandless, ho scoperto che il viaggiatore senza meta era un appassionato dei racconti di Jack London. Effettivamente quella natura selvaggia ed ostile che Christopher affronta e cerca di conoscere, è descritta perfettamente dallo stesso London. L’uomo ha paura della natura perché sa che questa non limita la sua azione, perché la vita in natura è della natura, non si estranea in luoghi artificiali come le nostre città, e quando l’uomo tenta di domarla, la natura, questa si dimena e scalcia lasciando ferite profonde, a volte indelebili se non irrimediabili. L’uomo americano di fine ottocento che smania alla ricerca dell’oro, impatta spaventosamente con la realtà dura e cruda della natura: i meno trenta gradi del gelido nord che troncano le dita dei piedi o la solitudine straziante degli inverni passati, sono gli ostacoli che la natura interpone tra il volere dell’uomo e il suo completamento. E così gli eventi naturali diventano personaggi attivi, capaci di cambiare il destino degli uomini senza (ed ecco ciò che più inquieta Jack London) nessun senso di arbitrio, senza alcuna spiegazione antropocentrica. Se un libro o un racconto lascia qualcosa, allora è il caso di dire che la scrittura di London offre notevoli spunti per riflessioni: da leggere.

Infine l’ultimo libro che ho letto, terminato ieri sera, è L’ottava vibrazione di Carlo Lucarelli. E’ la colonia italiana di fine ottocento a fare da scenario: Massaua e l’Eritrea italiana, il caldo asfissiante dell’Africa, il sudore sui vestiti occidentali, le donne africane nude, i giovani soldati strappati dalle realtà rurali (e così differenti da regione a regione) e costretti a marciare sotto un sole cocente, tutto questo, e una storia avvincente, è il libro di Lucarelli. L’intreccio dinamico rende la storia sempre più interessante, ma, in aggiunta, è il contesto storico a far da padrone. Lucarelli utilizza una mole di particolari storici che rende al meglio l’ambientazione del romanzo e, soprattutto, modella a tutto tondo le caratteristiche dei personaggi. Tra queste quella di Vittorio che fa le magie, ovvero fa sparire parti dei materiali inviati da Roma, e poi Aicha, una commistione di femminilità e istinto felino, che usa un linguaggio incomprensibile, un mistero in quel vortice di dialetti italiani. L’ottava vibrazione è un romanzo coraggioso, si perché Carlo Lucarelli scommette in un romanzo per nulla facile, lontano dalle sue opere e imprese multimediali, la sconfitta di Adua è una pagina sottovalutata della nostra storia e lo scrittore di Parma cerca di ridarne luce e visibilità seguendo un ottimo intreccio tra dati storici e fiction. Forse il numero delle pagine allenta una storia che poteva essere ridotta, ma complessivamente l’impresa è riuscita, Lucarelli è da best-seller.

domenica 8 giugno 2008

Seguendo la pista dell'immaginazione


Dicono che le storie sono l’ascensore verso l’infinito. La ricerca di una storia si compie sul piano dell’infinito. Le storie esistono, tutte, c’è solo da trovarle, fiutarle e, infine, catturarle in una frase, un paragrafo, un capitolo, un romanzo. Quando scrivo spesso concretizzo esperienze personali in parole, poi aggiungo la storia ovvero quella scandirsi del tempo che permette al lettore di poter viaggiare lungo il piano narrativo perdendo completamente la dimensione del reale, entrando, definitivamente, in quella dell’infinito. Il tempo nelle pagine di un romanzo non ha senso. Il tempo nel leggere un libro, nell’immedesimarsi in una storia è un rallentamento della nostra percezione del vivere. Stiamo mettendo in pausa (o quasi) la nostra archiviazione di dati percettori che si tramutano in esperienza, per abbandonarci all’immissione di esperienze esterne codificate in parole pronte per essere elaborate dal nostro cervello in visioni mentali. E’ un processo immaginativo questo che ci obbliga a proiettarci in una dimensione alternativa a quella che normalmente percepiamo.

Ieri sera ho visto Into the wild, un film che straconsiglio ha tutti e, in contemporanea, ho iniziato a leggere I racconti dello Yukon e dei mari del sud di Jack London. Leggerò alcuni racconti, cercherò di fermare il tempo tra le pagine impregnate di avventure, di storie di uomini e cani tra le fredde piste del Nord America. Poi vi dico.

sabato 31 maggio 2008

La strage delle idee


Ho letto in questi giorni Il sopravvissuto di Antonio Scurati. Era da tempo che questo libro, per un motivo o per l’altro, mi ronzava intorno. La storia si apre con una scarica di tensione da lasciar tramortite le povere sinapsi: Vitaliano Caccia si presenta alla prova orale dell’esame di maturità, la sua bocciatura è scontata, entrando nella palestra adibita un po’ grossolanamente a teatro per ansie post adolescenziali, spara su tutta la commissione lasciando vivo solo il professore di storia e filosofia, Andrea Marescalchi, il sopravvissuto alla strage.

Da questo momento in poi nasce il romanzo-analisi di Scurati, un viaggio nelle reazioni ad un fatto di cronaca nella profonda e sconfinata provincia italiana. La televisione, i giornalisti, l’isteria collettiva, l’ipocrisia di una solidarietà che falsamente incrina l’individualismo che contraddistingue la nostra società, è questo vortice di considerazioni che avvolge Andrea Marescalchi nella ricerca del suo studente omicida. A volte però Scurati lascia trasparire tra le sue parole alcune smorfie tipiche dell’ambiente un po’ dissociato dei letterati; se il libro mi era stato consigliato come raccolta vastissima e purissima di esperienza scandita in capitoli, francamente più volte ho sentito la critica farsi stridio. Magari non sono riuscito ad immedesimarmi nel ruolo dell’insegnante, nelle descrizioni di quell’ambiente spesso appesantite dallo sconforto della scuola pubblica manifestata in immagini (vedi la decadenza architettonica dei complessi scolastici), o l’appassire dei compiti dell’insegnamento (vedi l’invecchiamento dei professori e la perdita di ogni entusiasmo nel loro lavoro sostituito da un gelido cinismo).

Su alcuni punti invece ho trovato le riflessioni di Scurati davvero interessanti, e mi riferisco soprattutto all’aspetto sociologico del romanzo. La perversione mediatica nello sviscerare casi di cronaca nera assume forme grottesche soprattutto quando è la scatola luminosa ad impossessarsene ed a interpretarle secondo i suoi canoni (non d’abbonamento). Il caso della strage di Erba o quello di Cogne sono paradigmatici: l’atto omicida è riproposto sotto ogni chiave di lettura; le vittime e i carnefici vengono progressivamente ridotte a personaggi dalle caratteristiche semplificate (per non dire banalizzate); e poi i condor, ovvero gli spolpatori delle tragedie, quelli dell’approfondimento in seconda serata, si incuneano in lacrime e dolore, offrono al telespettatore tutta la crudeltà del caso, chiedono, sospirano, si indignano e lasciano agli “esperti” il compito di riassumere professionalmente l’atto violento in sé. Col passare del tempo l’omicidio, la strage, l’atto di violenza perde il suo significato per trasformarsi in fiction, entrando così in una dimensione popolare dove è permessa una rilettura. Così si spiegano le ospitate in trasmissioni che nulla hanno a che vedere con fatti di cronaca nera. L’agenda è bella che pronta: l’opinione pubblica di quello parlerà, o meglio, il confronto vero e sincero ormai è ridotto alla intermediazione perenne della televisione. Così facendo le analisi per forza di cose si adattano alla schematizzazione dei tempi televisivi e si perde il succo, la sostanza delle singole idee personali, quelle che più di ogni esperto danno il senso delle cose. Si rischia di rimanere nel flusso costante della tv, di lasciare che sia l’agenda televisiva a decidere di cosa e come parlare. Lo so, sono vecchie riflessioni, io, nel mio piccolo, non aggiungo nulla di nuovo.

Postilla personale: io non sono uno di quelli che schifa la televisione, anzi, mi nutro di essa (almeno di una parte di essa) e credo che lo strumento televisivo abbia in sé tutte le potenzialità per rendere la vita di una persona un po’ più intelligente, un po’ più ricca. Certo, non posso consegnare le chiavi del mio cervello alla tv, rischierei di perdere tutte le complessità del mondo che ci circondano; rischierei di credere che nello schermo tutto avviene, nulla è nascosto.

giovedì 22 maggio 2008

Il romanzo nel romanzo


L’ordine dei superiori è quello di uscire fuori dalle trincee, stringere bene il fucile tra le mani, evitare le pallottole, schivare quel concentrato di piombo ed altre leghe che potrebbe conficcarsi nel fondo della carne e, infine, fidarsi ciecamente della baionetta quando il tamburo è scarico, perché, alla fine di tutto, la baionetta è l’unica amica in quello scenario catastrofico. Questo avrà pensato John Ronald Reuel Tolkien urlando come un forsennato, pensando alla sua Regina delle fate, Edith Bratt. Sicuramente pensò a lei mentre tornava con l’anima in spalle, sopravvissuto alla Battaglia della Somme, i suoi amici erano rimasti laggiù, tra fango e sangue.
Ned o T. E. per gli amici fece la sua comparsa ad Oxford e portò una ventata di novità, un fattore di destabilizzazione per quei rigidi costumi ancora frastornati dal suono delle bombe. Lowell Thomas, reporter di guerra, lo aveva ribattezzato Lawrence d’Arabia, l’inglese che guidò i moti di ribellione in quell’intestino in subbuglio chiamato Medioriente. Robert Graves, poeta anch’egli scampato dalla falce del 1914-18, entra in contatto con la mole semi mitica di Ned, in un primo momento con una certa diffidenza per poi scovarne quel carisma che tramuterà in versi. Infine Jack, conosciuto anche come C. S. Lewis, anche lui coinvolto nel vortice di curiosità per la comparsa di Ned che lo spinge a conoscere il passato di quell’uomo misterioso ripercorrendo le orme lasciate durante la vita da un giovane studioso di archeologia divenuto, col tempo, Lawrence d’Arabia.
Wu Ming 4 scrive un romanzo nel romanzo, Stella del mattino è la storia di come le parole condensano le esperienze per trasformarsi in storie e quest’ultime, lette e metabolizzate da terzi vengono poi riproposte in altre storie dando vita ad una catena senza fine. Tolkien, nello scrivere le epiche imprese dei suoi personaggi, cercava la cura al suo dolore, al trauma inciso negli occhi di chi ha visto la vita spengersi nel fondo di una trincea: fossa per vivi. Lawrence d’Arabia è quella storia popolare fatta persona, è il fuoco sprigionato dal drago dalla coda lunga che si allunga da persona a persona, è l’anello di congiunzione delle vite di Ronald, Robert e Jack. Io consiglierei questo libro a chiunque voglia scoprire come nascono le storie, andare alla fonte di quel ruscello che può trasformarsi in torrente o in fiume in piena, per poi sfociare nell’oceano, nella collettività. Lo scrittore è un’antenna attenta a captare l’umanità, spesso nello scrivere le sue storie attinge da ciò che egli stesso ha provato, vissuto sulla sua pelle e allora lo scrivere potrebbe tramutarsi in una magnifica mescolanza di vissuto ed epico, un’alchimia capace di far vibrare i neuroni e, addirittura, fondersi col lettore raggiungendo l’empatia.
Stella del mattino è un libro coraggioso perché non vuole tagliare il traguardo dell’opera conclusa, definitiva, limitata al numero delle pagine e chiusa a chiave dal punto finale. Questo è un libro aperto, è una vena aurifera appena scoperta che cela nelle sue profondità ulteriori approfondimenti e si alimenta di ogni ricerca. Quando termino un romanzo e le sue parole fanno affiorare nella mia mente continue domande, vuol dire che quel romanzo ha raggiunto il suo scopo: mi ha donato gli strumenti per continuare a scrivere la sua storia, la nostra storia, quella che non finisce mai.