sabato 29 dicembre 2007

I dieci libri più belli del 2007


Ho buttato giù una classifica squisitamente personale su i libri più belli in questo 2007 che sta facendo le valigie. Ho dovuto sacrificare qualche altro bel libro, ho con piacere escluso diverse "sole", ho premiato le emozioni che questi libri mi hanno trasmesso. E' stato un anno bello, intenso, pieno di storie interessanti, di tanti sorrisi, di qualche lacrima, pochi abbagli, un pò di incertezza. Questo blog poi, è una delle belle cose da ricordare di questo anno, sperando che sia pieno di sorprese per l'anno che verrà. Grazie per avermi letto in questi mesi, grazie per i complimenti ricevuti, grazie per aver apprezzato le parole che costudisco in questo piccolo isolotto nel mare infinito della rete. Spero di rincontrarvi tutti il prossimo anno.

  1. Cormac McCarthy – La strada
  2. Luther Blisset – Q
  3. Elsa Morante – Lo scialle Andaluso
  4. Roberto Saviano - Gomorra
  5. Stefano Benni – La grammatica di Dio
  6. Raymond Queneau – Zazie nel metrò
  7. Mitch Cullin – Tideland
  8. Don De Lillo – Americana
  9. Paolo Nori – La vergogna delle scarpe nuove
  10. Amara Lakhous – Scontro di civiltà per un ascensore a piazza Vittorio
Postilla: lo spumante si stappa come la foto mostra... auguri!

giovedì 27 dicembre 2007

Io sono leggenda (o quasi)


Finisce con il libro Io sono leggenda, il breve viaggio nel tema l’uomo rimasto solo. Il libro in questione, per quanto possa avere dei punti di contatto con quello di McCarthy, sviluppa una storia decisamente più cinematografica, influenzata dalle esperienze letterarie di Richard Matheson, l’autore. In breve, Robert Neville aveva una sua vita normale, aveva una famiglia a cui voleva bene, era innamorato di sua moglie, orgoglioso della figlia, ma poi una terribile epidemia lo lascia solo. Un virus misterioso rende le persone vampiri (si, avete capito bene, vampiri), stranamente Robert è immune al virus, si troverà così a vivere in un mondo che, di giorno, è desolato e, di notte, si riempie di volti pallidi e canini aguzzi. Il terribile agente patogeno colpirà anche moglie e figlia del povero Robert; questo, malgrado tutto, riesce a campare, covando però una solitudine crescente. La storia, partendo dalla cronaca di una giornata tipo del protagonista, introduce il lettore in questa America popolata dai vampiri e, forse, dall’ultimo degli esseri umani (Robert) che non si ciba di sangue, testimone di un mondo che sta scomparendo. L’intreccio è scostante, non riesce a mantenere alto il ritmo narrativo. Le azioni sono ben descritte, sono coinvolgenti, ma poi le fasi di respiro allentano troppo la presa e finiscono per rendere tutto un po’ banale. Leggendo la storia riuscivo a prevedere le mosse del protagonista, vuoi perché questo è costruito sulla falsa riga dell’eroe cinematografico americano, vuoi perché la storia, a parte qualche eccezione, non si discosta mai dalla forma del protagonista, adattandosi a questo. Insomma, sembra più che il personaggio proponga delle problematiche e lasci alla storia il compito di risolverle, che non il contrario.

Leggendo Io sono leggenda pensavo a come riuscisse il protagonista a poter sopravvivere in una città che di giorno è inanimata. Passi la storia del generatore che permette a Robert Neville di avere luce e di usufruire delle comodità degli elettrodomestici, ma come può, ogni volta, poter gustarsi della carne congelata? Come può far uso di acqua potabile quando le strutture idriche sono senza una manutenzione assidua? Lo so, sembrano le domande che porrebbe il ciccione fumettista dei Simpson all’autore del libro durante un incontro con i lettori, lo ammetto, ma dopo aver letto La strada (che si sviluppa su fondamenti drammaticamente realistici) la domanda di maggiore onestà narrativa è automatica.

Richard Matheson è uno scrittore di fantascienza, così almeno sta scritto sulla quarta di copertina. La postfazione di Valerio Evangelisti fa luce sulla figura di Matheson a me ignota, e si viene a sapere che lo scrittore americano, etichettato come scrittore fantascientifico, risulterà tutt’altro. Effettivamente, stando al libro letto, a parte la terminologia scientifica usata per spiegare il virus nella fase deduttiva della storia, una città invasa dai vampiri fa poco fantascienza. Matheson, secondo il buon Evangelisti, mescola diversi ingredienti provenienti dalla letteratura di genere. Nella lettura di Io sono leggenda puoi trovarci un po’ di horror, qualcosa di fantascientifico (mica poi tanto), c’è dell’action movie, c’è dell’ironia da sit com e dinamicità narrativa tipica dei fumetti americani degli anni cinquanta. Ma i sapori non conciliano tra loro, anzi, tutto risulta sconnesso. Per tirare le somme, la storia c’è ma ha il gusto del mescolamento fatto in fretta e furia, da offrire a gole secche capaci di bersi di tutto, io, probabilmente, non avevo tanta sete.

Postilla: non ho scritto niente riguardo l’imminente film dal titolo omonimo, non me ne vogliate, ma, se il libro non mi ha fatto impazzire, che cosa potrà essere la trasposizione cinematografica? E poi il protagonista nel film è di carnagione chiara, di ceppo anglotedesco, cacchio centra Will Smith?

sabato 22 dicembre 2007

Lettera aperta a Babbo Natale


Caro Babbo Natale, so bene dei tuoi impegni e di quanto puoi essere oberato di lavoro in questi giorni di delirio natalizio. So altrettanto bene dei tuoi problemi. Nel Polo Nord la situazione non è facile: lo scioglimento dei ghiacci è un bel dilemma, la neve arriva sempre più tardi, le renne hanno caldo, il loro folto pelo le fa sudare. Qualcuna è stata acquista dalla Disney per farla sfilare nei parchi a tema. Diciamocelo, poteva andargli anche peggio. Ma lo so, a te non piace questa soluzione. In passato le renne sfrecciavano nel cielo, arrampicandosi tra le nuvole. Purtroppo con il caldo che fa, anche di inverno, le poverette fanno fatica a stare in movimento ed ecco i tristi risultati.

So anche della situazione socio-economica. La concorrenza asiatica sta mettendo in ginocchio te e tutta la tua azienda. Effettivamente il Babbo Natale asiatico, realizzato appositamente dal governo cinese per il mercato natalizio occidentale, sta mettendo a segno un successo dietro l’altro. Certo, è più economico, mi dirai, i giocattoli che regala ai bimbi sono prodotti realizzati da manodopera sfruttata e sottopagata. Certo, hai ragione. Ma guarda le conseguenze: più di mille elfi dal prossimo gennaio entreranno in cassa integrazione. Non è bello tutto ciò. Non è bello nemmeno vederti infilare il giubbotto anitiproiettile ogni qualvolta entri nello spazio aereo americano. Di certo lo fai per salvarti la pelle, lo so, ma agli occhi dei bambini che effetto può fare vederti vestito come un agente speciale FBI? Non buono, caro Babbo Natale, non buono. E che dire di tua moglie? Da quando ha scoperto che in Italia ci sono trasmissioni che mettono a centro dell’attenzione personaggi caduti nel dimenticatoio o, peggio ancora, figure squallide devote ad accrescere l’immagine del trash televisivo, non ha potuto fare a meno di partecipare ai provini per l’Isola dei Famosi. Ed ha pure vinto. Aspettiamoci la sua apparizione sull’isola, alla ricerca di qualche frutto, intenta a depilarsi le molli cosce al sole dei Carabi.

Come puoi leggere, in questa mia lettera non c’è alcun desiderio preciso. La mia è più che altro una lettera di solidarietà a te ed alla tua vita. Ti capisco e ti sono vicino. In questi momenti sarai impegnato a definire i dettagli della tua prossima apparizione. Girerai il mondo con la slitta ancora un po’ più stanco dell’anno prima, ancora un po’ più sconfortato del Natale precedente. Penserai, mettendo i doni sotto l’albero, che tutto quello che fai sembra non servire più a niente; che il mondo, in fondo, prende sempre l’altra strada, quella sbagliata. E mentre ti appresterai a salire sulla tua slitta, sentirai la schiena dolerti un po’ di più e nella tua testa affiorerà questa domanda: ma quando andrò in pensione con lo scalone?

martedì 18 dicembre 2007

La fine del mondo


Della serie l’uomo rimasto solo. La settimana scorsa ho letto La strada di Cormac McCarthy, libro uscito nell’autunno 2007 e che ha trovato buone, se non ottime recensioni. Ero incuriosito dalla storia, bene o male abbozzata, letta negli articoli. Padre e figlio sembrano essere gli unici sopravvissuti in un’America distrutta da una catastrofe ambientale, di dimensioni bibliche. I due emigrano verso sud, cercando costantemente del cibo, funestati da un freddo perenne, ridotti a scheletri e privi di qualsiasi residuo di felicità. In un mondo grigio dove niente sembra essere animato, dove la civiltà, ciò che elevava l’uomo a essere supremo e dominatore della terra, è ridotta in cumuli di cenere, un padre e un figlioletto trascinano le loro anime ancora illuminate da una fievole speranza. “Portano il fuoco”, i due: non si arrendono all’evidenza, cioè alla fine del mondo, al calar del sipario. L’uomo, scalfito dal freddo senza più nulla a cui credere, forse neanche più a Dio, vede nel figlio la speranza; vede nell’ingenuità del bambino, un fievole barlume di rivincita. Camminando lungo la strada, i due si imbatteranno nella disperazione dell’uomo che si fa crudeltà, sofferenza, solitudine, pazzia e, perlopiù, desolazione. Storie di bestie, più che di uomini, sono quelle che circondano le figure dei due personaggi principali.

McCarthy descrive un mondo che, come noi lo immaginiamo, non è più. E’ qualcosa simile ad una vecchia foto sbiadita abbandonata per terra, forse persa, forse volutamente gettata via, che agli occhi di uno sconosciuto appare una testimonianza muta, senza una sua storia da raccontare. E’ questo il mondo dopo la catastrofe. Le ovvietà dei nostri tempi, i palazzi, gli elettrodomestici, il calore, le comodità, la socievolezza, tutto questo è dannatamente sparito, o meglio estinto. Mi sono sentito spaesato leggendo La strada, privo di qualsiasi punto di riferimento. E’ un libro che trasmette delle emozioni fortissime, che raramente sono riuscito a provare negli ultimi libri letti.

In alcuni momenti ero completamente coinvolto nella lettura, immedesimato nella storia, senza via d’uscita. Quando staccavo gli occhi da quelle pagine così magnetiche pensavo: e se tutto questo che ho intorno dovesse finire? McCarthy, scrivendo un romanzo durissimo, mette in moto un meccanismo vincente, quello delle priorità. Pone a confronto lo spettro delle priorità del lettore, con quello dei due personaggi che lottano per la sopravvivenza, e, naturalmente, ciò induce a pensare. Una vita passata a riempirsi di futilità, un’America (che poi è il paradigma del nostro occidente) adagiata su valori ormai inconsistenti, fragilissimi. La strada è un brutto sogno, ci si risveglia e si fa un bel respiro di sollievo quando ciò che ci circonda è ancora tutto lì, intatto.

Io affiancherei La strada di McCarthy a Manituana dei Wu Ming. L’America, raccontata dal collettivo, nel suo principio all’inizio della fine; e l’America di McCarthy, dove la cenere, il freddo e la desolazione sono l’atto finale. Leggetevi Manituana per poi passare a La strada, farete un salto temporale lungo. Passerete dagli albori di un occidente incapace di sapersi rinnovare, stramaledettamente convinto di avere sempre e comunque il lume della ragione dalla sua parte, e poi vi ritroverete nelle lande deserte di McCarthy, dove un padre e un figlio (il vecchio e il nuovo) cercano di sopravvivere al freddo, cercando quel lume che, purtroppo, non riscalda più.

Postilla: ho esordito scrivendo "della serie l'uomo rimasto solo" perchè sto leggendo in questi giorni Io sono leggenda di Matheson, dove si ripete il tema dell'uomo solo in una terra deserta. Sono letture tematiche, un percorso che porterò a termine con questo secondo romanzo. Vi farò sapere impressioni e pareri. Salut'.

mercoledì 12 dicembre 2007

Eri piccola così

"T’ho veduta. T’ho seguita. T’ho fermata. T’ho baciata. eri piccola, piccola, piccola, così!"
Giro di contrabbasso. Locali fumosi. Sigaretta che pende pigra all’angolo della bocca. La cravatta nera allentata. Jazz e swing che sussurrano note nella notte. Una Torino nebbiosa e notturna che fa contorno. Il fumo poi, intangibile, sottile, dalle curve morbide quando non è disturbato, frastagliato quando è mosso dai corpi. Ferdinando Buscaglione, in arte Fred Buscaglione, è al centro di questo quadro da criminalsong. I suoi baffetti, consigliati da Fatima sua musa, sua donna, suo amore fin che il successo non travolgerà tutto, sono un’icona pop post seconda guerra mondiale.

Leggendo Turkemar (che è in copyleft, quindi se volete leggerlo cliccate qui) di Simone Sarasso, pensavo in bianco e nero. Le impressioni che il libro mi ha trasmesso, immediate e brevi, sono rovinate da una pellicola vecchia e polverosa e l’audio gracchiante. E’ una storia breve e intensa Turkemar, è la vita di Buscaglione, cantante swing in voga nell’immediato dopo guerra e, sfortunatamente, scomparso in un incidente automobilistico nel 1960. Conoscevo poco o niente sulla vita e carriera artistica del cantante torinese, il libro, che si legge in poco tempo (è un romanzo di circa un centinaio di pagine) ne approfondisce le zone grigie, ovvero quei passaggi della biografia di Buscaglione meno trattati e deformati da elementi di fiction. C’è un atmosfera buia, cara allo scrittore, non è un caso la sua candidatura al Premio Scerbanenco con il suo ultimo romanzo (per chi non lo sapesse, è un premio letterario dedicato al genere noir italiano), dipinge la vita del cantante swing, risaltando il concetto del successo e le sue conseguenze. Questo è il tema cardine della storia che coordina l’intreccio irrobustendolo con dialoghi diretti, efficaci, molto cinematografici. I personaggi sono abbozzati, forse proprio per via della brevità del romanzo che non permette al lettore di familiarizzare con i loro caratteri. Gli ambienti, invece, li ho sentiti veri, ben delineati, contesti strutturati al fine di rendere più scorrevole possibile lo svilupparsi della storia.

Buscaglione è un soggetto che si presta benissimo per una storia nera. Il dopo guerra poi, è un periodo della storia del nostro paese particolarmente affascinante. Nei termini della cultura popolare, c’era tanta ingenuità, voglia di riscattarsi e il mito americano, per quanto contrastato dall’autarchia imposta dal Pelatone, sfociò in tutte le sue forme dopo la liberazione. Tra queste, fatta una dovuta cernita del bello e del brutto, c’è lo swing all’italiana di Fred Buscaglione. Simone Sarasso riesce a inserire tutto questo, almeno io sono riuscito a scovarlo nella sua scrittura. E poi c’è la bravura di ibridare la storia con tanti elementi così lontani dal contesto buscaglioniano, come l’estrapolazione di alcune tematiche vincenti da Spawn o le citazioni prese in prestito da Snatch. Il risultato è un romanzo che scorre via, lasciandosi sfogliare in pochi attimi. Questa sua qualità, forse, è anche un limite. ci si aspetta di più chiedendo a Fred di fare il bis, ma, purtroppo, le storie devono anche finire.

Postilla: anche questo libro sono riuscito a spulciarlo dalla Fiera “Più libri Più liberi”, a dimostrare, ancora una volta, quanto le piccole, a volte piccolissime, case editrici siano capaci di realizzare ottimi romanzi.

Postilla due: davvero originale l’introduzione a Turkemar, titoli di apertura in stile graphic novel, che sembrano quelli di qualche b-movie anni settanta.

domenica 9 dicembre 2007

La banda della magliana a fumetti

Ieri mattina sono stato alla Fiera nazionale della piccola e media editoria. E’ stata un’ottima occasione per mettermi in contatto con piccole o piccolissime case editrici, che con le unghie e con i denti propongono bellissimi titoli. E’ stata l’occasione per conoscere da vicino la Becco Giallo, casa editrice di altissima qualità, notata anche dal buon Evangelisti che tempo fa ha lodato il lavoro di questa in un pezzo per Carmilla, domandandosi se il fumetto può essere veicolo di critica sociale (naturalmente la risposta è si). Ho acquistato con gran piacere La banda della magliana, fumetto disegnato dalla talentuosa mano di Stefano Landini e scritto da Simone Tordi e Stefano Valenti. Ieri sera mi sono immerso nella lettura divorando la storia che si lascia leggere e si concretizza in splendidi disegni. La storia è un sunto grafico della ormai plurinarrata vicenda della banda della magliana ed è scritta con gran cura, seguendo molto da vicino il modello di De Cataldo, che forse è quello più riuscito. I dialoghi sono concisi e si inseriscono in piccoli baloon stilizzati che, a mio parere, danno il senso della grettezza dei rapporti tra i personaggi, degli istinti non controllati, della voglia di avere tutto e subito. La sceneggiatura è stata adattata al formato del fumetto, il ritmo è incalzante e non trova spazi vuoti, sa far buon uso delle immagini cercando una narrazione concreta, diretta, molto simile a quella televisiva.

Il fumetto può essere considerato la dimostrazione che, in Italia, c’è gente che sa scrivere belle storie e che ce ne è altrettanta che disegna splendidamente; che per fortuna ci sono comics di questo genere e che ci sono case editrici come la Becco Giallo che intuiscono in queste un valore da offrire al pubblico. Si, perché quello che propone la piccola casa editrice di Ponte di Piave (TV) ai lettori è una collana di cronaca nera all’italiana a fumetti, progetto che, per il mercato italiano, è davvero aria fresca.

Seguirò da vicino le proposte della Becco Giallo, dopo essere stato convinto dalla bella storia della Banda della magliana, che mischia maestrie di sceneggiatura e di illustrazione. Che altro scrivere? Un complimento agli autori e alla casa editrice, sperando di scrivere altro ancora e sperando di leggere altre belle storie.

venerdì 7 dicembre 2007

Leggere rende liberi, dicono


Sto leggendo e scrivendo tanto di questi tempi, ho il comodino che tracima libri. Non è un vanto, anzi, è un problema. Ogni santa mattina suona la sveglia e, cercandola nel buio, puntualmente butto giù le instabili torri di libri. Ciò comporta il risveglio più o meno brusco della mia gatta (Neve), che comincia a passeggiarmi sulla schiena (pesa quasi otto chili, per intenderci), e poi, infine, obbliga i miei genitori a fare irruzione nella stanza sbandierando la classica frase “tanto sarà sveglio, ha suonato la sveglia”. No, dormo.

La morale di questa piccola e striminzita storiella? Leggere fa male, quindi non leggete. E non date retta a manifestazioni di questo genere, sono baggianate, kermesse per topi di biblioteca, un po’ calvi e magari, qualcuno di questi, affetti da alitosi acuta. Leggere è una grande perdita di tempo, obbliga a star fermo per chissà quanto tempo seguendo storie riassunte in frasi, ellissi narrative, chiose drammatiche e varie forme retoriche spruzzate qua e là. Richiede al lettore di crearsi nella mente mondi fantastici, volti immaginari e situazioni che, dall’astrattezza delle parole, si tramutano in immagini concrete. Tutta ‘sta roba dentro il cervello, tutta insieme, pensate che caos.

Leggere rende più liberi, è lo slogan della manifestazione. Forse sarà vero, sta di fatto che io la mattina mi sveglio sempre per colpa dei libri.