Della serie l’uomo rimasto solo. La settimana scorsa ho letto La strada di Cormac McCarthy, libro uscito nell’autunno 2007 e che ha trovato buone, se non ottime recensioni. Ero incuriosito dalla storia, bene o male abbozzata, letta negli articoli. Padre e figlio sembrano essere gli unici sopravvissuti in un’America distrutta da una catastrofe ambientale, di dimensioni bibliche. I due emigrano verso sud, cercando costantemente del cibo, funestati da un freddo perenne, ridotti a scheletri e privi di qualsiasi residuo di felicità. In un mondo grigio dove niente sembra essere animato, dove la civiltà, ciò che elevava l’uomo a essere supremo e dominatore della terra, è ridotta in cumuli di cenere, un padre e un figlioletto trascinano le loro anime ancora illuminate da una fievole speranza. “Portano il fuoco”, i due: non si arrendono all’evidenza, cioè alla fine del mondo, al calar del sipario. L’uomo, scalfito dal freddo senza più nulla a cui credere, forse neanche più a Dio, vede nel figlio la speranza; vede nell’ingenuità del bambino, un fievole barlume di rivincita. Camminando lungo la strada, i due si imbatteranno nella disperazione dell’uomo che si fa crudeltà, sofferenza, solitudine, pazzia e, perlopiù, desolazione. Storie di bestie, più che di uomini, sono quelle che circondano le figure dei due personaggi principali.
McCarthy descrive un mondo che, come noi lo immaginiamo, non è più. E’ qualcosa simile ad una vecchia foto sbiadita abbandonata per terra, forse persa, forse volutamente gettata via, che agli occhi di uno sconosciuto appare una testimonianza muta, senza una sua storia da raccontare. E’ questo il mondo dopo la catastrofe. Le ovvietà dei nostri tempi, i palazzi, gli elettrodomestici, il calore, le comodità, la socievolezza, tutto questo è dannatamente sparito, o meglio estinto. Mi sono sentito spaesato leggendo La strada, privo di qualsiasi punto di riferimento. E’ un libro che trasmette delle emozioni fortissime, che raramente sono riuscito a provare negli ultimi libri letti.
In alcuni momenti ero completamente coinvolto nella lettura, immedesimato nella storia, senza via d’uscita. Quando staccavo gli occhi da quelle pagine così magnetiche pensavo: e se tutto questo che ho intorno dovesse finire? McCarthy, scrivendo un romanzo durissimo, mette in moto un meccanismo vincente, quello delle priorità. Pone a confronto lo spettro delle priorità del lettore, con quello dei due personaggi che lottano per la sopravvivenza, e, naturalmente, ciò induce a pensare. Una vita passata a riempirsi di futilità, un’America (che poi è il paradigma del nostro occidente) adagiata su valori ormai inconsistenti, fragilissimi. La strada è un brutto sogno, ci si risveglia e si fa un bel respiro di sollievo quando ciò che ci circonda è ancora tutto lì, intatto.
Io affiancherei La strada di McCarthy a Manituana dei Wu Ming. L’America, raccontata dal collettivo, nel suo principio all’inizio della fine; e l’America di McCarthy, dove la cenere, il freddo e la desolazione sono l’atto finale. Leggetevi Manituana per poi passare a La strada, farete un salto temporale lungo. Passerete dagli albori di un occidente incapace di sapersi rinnovare, stramaledettamente convinto di avere sempre e comunque il lume della ragione dalla sua parte, e poi vi ritroverete nelle lande deserte di McCarthy, dove un padre e un figlio (il vecchio e il nuovo) cercano di sopravvivere al freddo, cercando quel lume che, purtroppo, non riscalda più.
Postilla: ho esordito scrivendo "della serie l'uomo rimasto solo" perchè sto leggendo in questi giorni Io sono leggenda di Matheson, dove si ripete il tema dell'uomo solo in una terra deserta. Sono letture tematiche, un percorso che porterò a termine con questo secondo romanzo. Vi farò sapere impressioni e pareri. Salut'.
6 commenti:
bè...mitico ed apocalittico, oltre alla copertina, quello che ti intriga in un libro è proprio il titolo!!!!
hai letto (nn centra nulla) "la peste" di Camus????
ei amico...nn so se sarà in giro per il web sti giorni quindi!
ti auguro buone feste!!!
ci sentiamo
ciaooooooooooo
davvero commovente, da leggere, io allora sono tornata alle origini, prima che tutto iniziasse, quando con voce che usciva muta da gole strozzate si urlava che era tutto sbagliato baci baci g
azz rimando il link..
Sette frecce
ribaci g
@naima:grazie per il tuo consiglio rivolto alle origini e buon natale.
@adrio:no, non ho letto la peste di Camus, conserverò il tuo consiglio per letture future. Tanti auguri anche a te e un sacco di belle storie per l'anno che verrà.
Ciao Andrea.
Sto finendo in questi giorni il libro di Mc Carthy.
Una delle cose che sto apprezzando di più oltre al coincvolgimento, alla sensazione di essere lì, sono le considerazioni che l'autore "lancia" quà e là...
Un salutone!
Pablito
@redman:penso che McCarthy abbia voluto inserire determinate considerazioni seguendo quel malumore strisciante che sta colpendo un pò tutti gli intellettuali americani in questi tempi. Gli Usa stanno passando una fase economica difficile e, in una società come la nostra, dove il denaro può deformare le considerazioni che facciamo su ciò che ci circona, ecco che emergono tesi disfattiste e catastrofiste. Gli Usa si sentono vulnerabili, sotto tutti gli aspetti, anche quello culturale. E probabilmente ciò si ripercuoterà (o gia si sta ripercuotendo?) nella vecchia Europa. Forse, noi europei, abbiamo dalla parte nostra quel pizzico di emotività (dettata da una filosofia ben radicata, credo) che ci fa apprezzare ancor di più quelle considerazioni piazzate qua e là da McCarthy. Un salutone! :-)
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