domenica 14 ottobre 2007

Le parole


...Le mie parole son capriole
palle di neve al sole
razzi incandescenti prima di scoppiare
sono giocattoli e zanzare, sabbia da ammucchiare
piccoli divieti a cui disobbedire
sono andate a dormire sorprese da un dolore profondo
che non mi riesce di spiegare...
Le parole qui sopra riportate sono di Samuele Bersani, uno che con le parole e la musica ci sa fare veramente. Riporto questa parte della sua canzone Le mie parole per introdurre l'inusuale episodio al quale il sottoscritto ha assistito. Sabato scorso mi sono diretto verso l'Auditorium per acquistare i biglietti del concerto di Morgan. Chi mi conosce sa che io e l'automobile non abbiamo un ottimo rapporto, e sopratutto sabato pomeriggio non era il momento migliore per una passeggiata in macchina, considerando la manifestazione che imperversava il centro di Roma. Quindi ho fatto il mio bel biglietto e ho preso la metropolitana. Arrivato a Termini c'era il panico: gruppuscoli di manifestanti/turisti che sbandierando il vessillo di An fotografano la città; turisti incuriositi ma allo stesso tempo preoccupati di non poter dirigersi verso il colosseo, visto il caos; conducenti degli autobus visibilmente irritati per l'ennesima manifestazione, per l'ennesimo disagio alla viabilità, per l'ennesimo passeggero (il sottoscritto) che ha chiesto gentilmente dove poter trovare la fermata del bus M, visto che quella di Termini era stata soppressa. Il dipendente dell'Atac mi ha fatto un sorriso apparentemente bonario, perchè nelle parti basse era in atto un giramento di coglioni pari a quello di un'elica. Alza un pò le spalle, allarga le mani a mò di santo e fa echeggiare un "boh" sconfortante.
Mi rigiro un pò per la stazione, cercando qualche indizio. Un cartello attaccato con lo scotch, informa che la fermata del bus M e di altre trenta linee è stata spostata 400 metri dopo Piazza della Repubblica. Quindi, taglio il corteo di An, qualcuno stonava l'inno di Mameli, mentre altri tipi salutavano i turisti con il saluto romano. Passo per Piazza della Repubblica, raggiungo la via indicata e mi trovo una fila senza fine di autobus. Tutti di servizio, ma maledettamente bloccati per via del traffico. Cerco tra questi quello che mi serve, non c'è (ti pareva?). Nell'attesa mi appoggio alla balaustra che si affaccia su un antico chiostro, davvero molto bello. Altri passeggeri come me, di tutte le razze e religioni, si dimenano alla ricerca del loro sospirato autobus; un signore dell'atac con una cartellina in mano, fa il possibile per soddisfare tutte le richieste. Gli si avvicina una signora, credo del sud america, non parla un granchè italiano, chiede di un autobus, il tipo ci pensa, controlla la cartellina, poi indica la via della fermata. Quella non capisce, allora lui inizia una serie contorsioni, sbracciandosi, indicando, emettendo strani versi, che altro non erano che un miscuglio di romanesco e inglese, sembrava Alberto Sordi nel fim Un americano a Roma, "o'right, o'right, attento a destra ce sta er fosso de la Maranella, capito americà?".
Alla fine, la signora, rispondendo con una serie di passi di danza, intuisce dove poter trovare l'autobus, fa un mezzo inchino completato con un sinuoso movimento di fianchi, e saluta l'informatore atac. Quello sorride, mi guarda, si rigira un pò la cartellina e mi fa, "aoh, ma te non ce lo sapevi un pò di inglese?", lo guardo un pò imbarazzato, gli rispondo con un timido si. Lui si mette a ridere, "beh, allora me potevi dà una mano, io cò 'ste parole inglesi mica me la cavo tanto bene", e sbuffando si immerge nella folla di anziani inviperiti contro tutto e tutti.
Quando poi una signora si avvicina e mi chiede di poterle leggere i numeri degli autobus sul cartellone della fermata, mi metto accanto a lei, aiutato da un rumeno, e iniziamo ad elencarle tutte le fermate.

4 commenti:

m.a. ha detto...

La descrizione del tuo calvario sarebbe divertente se non fosse tragica. La Capitale è più che mai lo specchio fedelissimo del nostro paese sfasciato e scazzato. Del resto, il sindaco che dovrebbe occuparsene è ultimamente troppo impegnato a far progetti per riuscire a romanizzare definitivamente la nazione. E' vero, esiste ancora la generosità di persone come il dipendente ATAC che si arrangia con l'inglese sordiano, ma è tutta roba sprecata.

ILARIA ha detto...

Non so se è questo il senso che tu volevi dargli, ma .. l'immagine cn cui chiudi il post è bellissima.
Tre sconosciuti che provano ad aiutarsi nel bel mezzo di un caos metropolitano.
Dietro alle parole c'è sempre qualcosa, ed è la scoperta di quel qualcosa la parte + interessante.
..e lasciamo stare la politica, che ormai lo sai come sono fatta ... mi hai visto in azione!! :-D

Andrea Patassa ha detto...

Hai ragione Marco,Roma è lo specchio del paese. Si intrecciano vecchie immagini sordiane, poteri burocratici con le toppe sotto i gomiti (come i vecchi notai) e il caos urbano, il minestrone multiculturale in tutte le sue sfaccettature.
Il dipendente ATAC, a mio parere, è una delle figure più vere e sincere della Roma di oggi; forse lo è sempre stata. C'è chi dice che per amarla, davvero, Roma la vedi mollare, te ne devi andare... boh, forse è così.

Ilaria, le parole sono lo strumento più importante per sopravvivere, te lo dice un romano poco motorizzato! E' vero dietro le parole c'è sempre qualcosa, forse i nostri veri intenti? E Roma si nasconde dietro le parole, cerca di mascherarsi con queste per nascondere, o provarci, il suo caos maledettamente vivo. Grazie per il tuo commento lusinghiero, arrossisco ed esco...devo tornare a Termini!
:)

Naima ha detto...

w i non motorizzati!!!