L’America alla fine del ‘700 da una parte, e ciò che è oggi l’America, nel ventunesimo secolo, dall’altra. Leggendo Manituana dei Wu Ming non potevo fare a meno di pensare a questo confronto, le due facce dell’America: quello che poteva essere, quello che è diventata. Nelle righe ripensavo a quei boschi, a quelle valli, quegli odori, suoni, quei sguardi indiani che diventavano sempre più opachi. L’America è sempre stata così lontano dalle menti europee che, per nascere, fondava la sua esistenza su questa differenza; una costola della vecchia Europa che ha dato vita ad altro. Oggi degli europei scrivono dell’America che stava nascendo, delle sue violenze, delle sue guerre e di nuovo si conferma la regola: la vecchia Europa da quando si rese conto di non essere più il centro del mondo decise di ricordare, l’America di fare. L’America oggi, che è brillantemente descritta dalle parole del conte Warwick, aristocratico inglese, stanco e annoiato dal formalismo e dalla staticità di un Inghilterra si potente, ma anche tristemente assopita, che accoglie i delegati indiani a Londra venuti a cospetto di Giorgio III.
“In effetti ho riflettuto a lungo su cosa voglia dire essere aristocratico […] sono giunto alla conclusione che significhi avere qualcuno disposto a prendersi le colpe al posto nostro. Per comprovare questa teoria, l’altro giorno ho sonoramente scoreggiato in salotto, alla presenza di ben tre dei miei servi. Ebbene, non solo hanno fatto finta di non sentire, ma quando ho accusato con veemenza uno di loro, non ha battuto ciglio e si è lasciato infliggere la punizione con l’aria più contrita del mondo. Ecco, essere aristocratici significa agire nella piena impunità, a dispetto di ogni evidenza”.Ecco l’America oggi, stanca ed impunita. Se l’Europa ormai da secoli ha perso il suo smalto, e se l’America anche si sta sfaldando come si sfaldava il potere inglese alla fine del settecento, chi si eleverà a figura dominante? Gli occhi puntano dritti ad oriente.
E poi gli indiani. Questa decadenza europea che colonizzò l’America alla inglese, alla Commonwealth, si sentirono traditi, si sentirono dalla parta sbagliata della storia, come scrivono i Wu Ming nel loro sito che promuove il romanzo. Le Sei Nazioni si sbriciolano sotto i colpi di una guerra che li considera come semplici ostacoli che interferiscono, soggetti scomodi da eliminare, nella bagarre tra vecchia Europa e nuova America. Il tomahawk torna a vibrare per combattere l’ultima guerra. L'indiano Philip Lacroix, figura coriacea invigorita da quel suo nome, Grand Diable, che si porta dietro ammirazione e mistero. Joseph Brant, capo in un momento difficile, costretto ad intepretare la guerra come mai avrebbe voluto. Queste sono le impressioni più vive ed immediate che i personaggi di Manituana mi hanno trasmesso.
Il romanzo dei Wu Ming è intenso, ma alcuni punti risultano troppo macchinosi. E questa sua complessità, che non ho notato in Q, quando il collettivo si chiamava Luther Blissett, rende bassa l’attenzione, disperde un po’ la storia perdendo così di vista la struttura essenziale. Ero curioso di leggere Manituana più che altro perché sono un attento lettore dei romanzi del collettivo sostenitore della causa copy left. Mi aspettavo qualcosa in più.
Non è giudizio negativo, non è neanche un’esaltazione, la mia è una via di mezzo. Questo mi fa pensare. Si perché io mi sento, almeno nei miei pensieri e nelle mie quotidiane contraddizioni, una via di mezzo tra l’Europa e l’America. Stavo notando la mia libreria: leggo tantissima narrativa americana, poca roba europea, un bel po’ d’italiana. Perché? Forse perché adoro la fantasia americana libera dalla storia, libera da ogni radice che, se ci dà la nostra coscienza quotidiana, spesso frena anche i nostri pensieri e le nostre analisi. E poi mi sento consapevole, allo stesso tempo, di essere quello che sono perché proprio quelle mie radici me lo ricordano.
Per farsi breve, i Wu Ming raccontano e fanno pensare, e pure tanto, questa è la loro arma vincente, il loro punto di forza. Il sito di Manituana offre approfondimenti, coinvolgimenti, sviluppi costanti della storia. I lettori contribusicono a modellare quello che i Wu Ming hanno tracciato, si sente partecipi di un'opera corale. Il collettivo è capace di stimolare il dibattito grazie anche alla sua intensa attività di dialogo con i lettori. Credo e spero che questo post sia una prova evidente. Il mio giudizio resta in bilico, oscilla, muta ogni istante. Pensandoci bene, questo libro non merita un giudizio, ma solo dei pensieri.