mercoledì 27 agosto 2008

Eravamo meglio noi


In questo periodo le mie letture sembrano legate da una qualche logica per nulla esplicitata, in qualche modo casuale. E’ strano, dopo aver terminato la lettura di un libro, riscontrare una serie di legami con il precedente. Se in passato facevo ricorso al caso, oggi inizio a preoccuparmi. Che le mie scelte, apparentemente casuali, nascondano un fil rouge spontaneo? Una lettura influenza la scelta dell’altra? Probabilmente si.
Dopo aver letto Narratori delle pianure, mi ritrovo tra le mani Altri libertini di Pier Vittorio Tondelli e i valori condivisi tra i due libri sono le ambientazioni: ancora la pianura padana, in questo caso Reggio Emilia e Correggio principalmente. In quest’ultimo libro, che ho trovato semplicemente fantastico, c’è quell’analisi sui gruppi degli anni settanta che tanto (e pure troppo) hanno offerto a narrazioni future. C’è tutto il disorientamento di una generazione che inizia a scricchiolare, dove la sua unità stava per frammentarsi in un arcipelago di piccole comunità deboli ad affrontare le sfide degli anni ottanta. Ma l’aspetto più sorprendente del libro, che è composto da sei racconti, uno dei quali intitolato proprio Altri libertini, è il linguaggio. E’ lo strumento che lo scrittore utilizza per coinvolgere il lettore in quelle atmosfere. La provincia e i suoi ritmi, la voglia di strapparsi le radici da quei paesaggi sonnacchiosi e prendere il largo, tutto questo è meravigliosamente narrato da Tondelli. Le osterie, con i suoi vecchi seduti su tavolacci ad osservare quei giovani così diversi, ma tale sorpresa svanisce sotto i colpi martellanti del vino. Gli amori difficili, il sesso, i rapporti controversi, l’instabilità dei sentimenti, l’egoismo nell’appagarsi con il prossimo: le parole di Tondelli sono dirette e spietate. E la provincia è sempre lì, statica. Interessante è il confronto tra Bologna, dinamica, giovane, interessata e vitale e Reggio Emilia, più lenta e borghese; Correggio, invece, interpreta i vuoti della provincia, i silenzi prolungati.
I giovani, infine, loro si concentrano in personaggi-archetipo che si muovono storditi, innamorati, intimoriti, insicuri e crudelmente consapevoli del futuro. E’ un libro da leggere perché dopo tante serenate alla generazione settantina che fu (alcune davvero pesanti, retoriche e nostalgiche), qui c’è una vena pura di esperienze ancora immune dalle speculazioni del tipo “eravamo meglio noi di voi”. Da leggere.

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