Il termine precario è un calderone che bolle e ribolle, e che emette strani odori differenti, alcuni difficilmente distinguibili. La periferia è lo scenario che accoglie le vite precarie, Roma ne è un esempio. Ascanio Celestini nel suo articolo su l’Internazionale approfondisce con estrema accuratezza, e con una semplicità narrativa esemplare (forse il suo vero pregio), la questione del precariato. Il suo ultimo lavoro è un documentario su questo problema dal nome Parole sante. L’articolo entra in profondità attraverso le storie precarie dei dipendenti dell’Atesia, il più grande call center italiano. L’azienda è tristemente nota come esempio di flessibilità e, di conseguenza, precarietà. L’Atesia sorge in una delle aree periferiche di Roma tra enormi agglomerati come Decathlon, Le Roy Merlin, Ikea e Mondo Convenienza.
La periferia di Roma è pazzesca. E’ un miscuglio di grandi e luminose insegne, di auto imbottigliate, di svincoli e rotatorie appena costruiti, di terra brulla e pilastri che crescono come margherite. Chi vuole acquistare una casa oggi, sa bene che il mercato immobiliare romano oltre il GRA, confine economico della capitale, qualcosa offre, a prezzi relativamente modici. La politica nelle periferie pone la stessa attenzione che al problema del precariato: zero, o quasi. Marco, di 43 anni, soggetto di una delle storie raccontate da Celestini nel suo documentario, scrive questo sulla politica e i suoi attori: "sono completamente separati dalla realtà. Al massimo quelli di sinistra riescono ad interpretarla, ma non la vivono e non la conoscono". Sono d’accordo con Marco, è così. La sinistra di Roma si è rinchiusa nel suo “centro storico”, non ha più nessuna interlocuzione dal basso, si è completamente trasformata in politica intellettuale. Il centro di Roma nido della cultura, seppur caotico, seppur incastrato tra vecchie mura e cantieri aperti, ha mostrato dei progressi. La periferia, invece, sembra una cisti in perenne mutamento.
Qual è la periferia romana? Ogni giorno nasce un nuovo palazzo, un nuovo centro commerciale. Ogni santo giorno si alzano da terra strutture mastodontiche costruite con il sudore e spesso il sangue, degli operai, magari per loro fossero precari! I romeni, ma in generale tutti i clandestini, servono a questo: a riempire le file di quegli operai che in nero costruiscono enormi strutture luminose e pesanti. E il precario, quello si in regola, ma con uno stipendio da fame, compra i prodotti a basso costo in quei centri commerciali. Come scrive Celestini: “il pensiero che fa pensare al panino da 50 centesimi come un’opportunità e invece è una galera”.
L’Ikea e la sua convenienza, i suoi mobili a poco, a niente, è un affare. Scrive Celestini:
La simbiosi tra il mobile componibile pensato in Svezia e costruito in Cina a basso costo e l’operatore a cui hanno fatto credere di aver raggiunto un traguardo acquistando una nuova libreria con il basso stipendio consentito dal suo lavoro quasi cinese.
Cosa me ne farò di una libreria a poco prezzo se non potrò mai riempirla di libri?
2 commenti:
La scorsa estate a Vienna, come in pellegrinaggio, sono andata a vedere il Karl-Marx-Hof, un grande condominio popolare costruito nel nord di Vienna nei primi anni dello scorso secolo. Il grande casermone era costruito per una vita collettiva, con all'interno asili, lavanderie comuni, luoghi per il ritrovo. Possibile che in Italia la edilizia popolare sia sempre andata a braccetto con la speculazione edilizia e che non esista una pianificazione dell'urbanistica vigilata e dettata da enti locali non corrotti? Quando vedo queste cose (a proposito, caltagirone su report) mi viene un gran mal di pancia...
E' la speculazione che, se in passato andava a braccetto con il "piccolo" magnate dell'edilizia, ora si commistiona con le grandi opere, vedi centri commerciali ecc...
La sicurezza deriva anche da questo: un'urbanistica sensata, a misura d'uomo. In più lo stallo economico del paese, comporta un ingrossamento delle sacche sociali in stato di depressione. Celestini fa un'analisi nitida, perfetta della realtà romana.
Ciao Naima!
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