mercoledì 20 febbraio 2008

A casa dei Wheeler


Le staccionate bianche circoscrivono case a due piani schierate su una stessa fila dritta, imperterrita. In ogni casa una famiglia, in ogni famiglia, un padre ed una madre e dei figli. America dei primi anni sessanta, periferia residenziale di New York, i Wheeler vivono qui, precisamente in Revolutionary Road. Un prato all’inglese, un’auto dal cofano luccicante e bombato parcheggiata sul viale, eccolo lì Frank Wheeler a scavare nel giardino per costruire una scalinata in pietra. Avril Wheeler, la moglie, è in casa a sorseggiare una limonata ghiacciata, i figli a giocare sotto un sole estivo. A loro, ai Wheeler, l’America non piace, odiano l’omologazione, l’ipocrisia che sostiene il quieto vivere dei sobborghi newyorkesi; loro, i Wheeler, cercano altro e sognano l’Europa, la sua storia, le sue radici, così lontana da quelle case tutte terribilmente uguali. Negli anni sessanta gli europei sognavano gli Stati Uniti che si trovavano dall’altra parte della luna, Richard Yates invece, nel suo splendido romanzo Revolutionary Road, racconta di una coppia logorata dall’America che tenta di abbattere le mura consolidate e asfissianti di una società omologante, almeno dal loro punto di vista.

Da una crisi di coppia, descritta da Yates con sfumature psicologiche esemplari, nasce l’idea dei Wheeler di trasferirsi in Francia, a Parigi. Via, lontano dagli sguardi indesiderati dei vicini, lontani dalle serate con i Campbell, i vicini che abitano a Revolutionary Hill, dove le accuse alla società si condensano nel salone e lì restano, quasi dovessero placare gli animi torbidi ma non curarli. Ma Frank col tempo sente che quella nuova energia tra lui e la moglie, infondo, è qualcosa di artificiale, che, infondo, fuggire da quell’America che gli stava offrendo un lavoro migliore, un mercato vivo e proficuo capace di elevarlo nella scala sociale tanto disprezzata, era assurdo, inutile. E poi c’è la terza, non desiderata, gravidanza. Yates incrina con estrema lentezza l’immutabile, all’apparenza, stato di relazioni dei personaggi, colora con estrema cura per i particolari le diverse forme che la psiche di questi assume. Tutto sembra statico, immobile, ma nel profondo degli animi c’è una torbidità palpabile che incide nella storia a tal punto da esplodere nelle pagine conclusive. Revolutionary Road è un libro di un'intensità rara, che lascia un sapore amarognolo, un retrogusto acidulo, ma è grazie alla sua asprezza che alcune immagini del romanzo sono ancora impresse nella mia mente.

Il libro l’ho scoperto grazie al portentoso Anobii, sito dove si possono creare e condividere le proprie librerie. Esplorando gli scaffali degli altri utenti sono riuscito a scovare, per puro caso, Richard Yates, ed eccomi qui a scriverne un personalissimo commento. Tutto ciò è portentoso, non posso fare a meno di stupirmene.

4 commenti:

Choppa ha detto...

sto preparando una tesi sulla letteratura angloamericana contemporanea, e urca grazie per il consiglio che capita proprio a fagiuolo.
Di Galimberti hai mai letto "Il corpo"?
Provalo!
....tornerò......

Pietro Scarnera ha detto...

Ricambio la visita, anche se un po' in ritardo... A me piace la tua presentazione...

Andrea Patassa ha detto...

@choppa:spero di esserti stato utile,involontariamente...Di Galimberti ho letto solo "L'ospite inquietante", nient'altro. Lo proverò, tempo e libri permettendo.
@pietro:Ciao! Ancora complimenti per i tuoi disegni, sei davvero bravo. Un salutone.

daniela ha detto...

ciao andrea ti ho risposto sul mio, passa quando vuoi.