martedì 22 gennaio 2008

Un autobus per capire


Quando avevo poco più di diciotto anni e il mondo mi stava stretto, uscivo di casa e prendevo l’autobus 715. Il mitico 715. L’autobus che, partendo da S.Paolo arriva fino a Piazza Venezia. Era un toccasana prenderlo e andarmene via, scivolare nel traffico appoggiato con la testa al finestrino, là fuori, il mondo, si contorceva in lamiere strombazzanti, io invece, guardavo con occhi ingenui. Così iniziai a bazzicare per il centro. Una, due, tre volte. Quando l’autobus arrivava al capolinea, di fronte la scalinata per il Campidoglio, sbuffava esausto, apriva le sue porte e lasciava che i passeggeri uscissero come formichine ben istruite. Tutti prendevano una direzione diversa: i turisti si lasciavano trasportare dall’entusiasmo, ripetendo più volte, come una cantilena propiziatoria “oh my god, oh my god”. Gli anziani a braccetto si facevano spazio nel girone infernale di Piazza Venezia, inveivano silenziosamente su quella Roma irriconoscibile ai loro occhi.

Così, in una delle mie libere uscite per il centro, incappai nella libreria Feltrinelli. Ci andai perché costretto: dove acquistare un romanzo per la scuola, se non ricordo male, era Tre croci di Federigo Tozzi. Leggevo fumetti in quegli anni, ma niente più. I libri mi annoiavano mortalmente, se prendevo in mano un libro, intendo un romanzo, era solo perché i professori mi obbligavano a farlo, altrimenti non ne provavo alcun bisogno. Comunque, la libreria mi fece una buona impressione, così decisi di tornarci e comprai un paio di libri da me scelti.

Sulla via del ritorno, spaparanzato sul sedile grigio chiaro del 715, mi misi a leggere quello che avevo acquistato: una puttanata, ma all’epoca non ne ero cosciente. Mi piaceva osservare le facce di chi avevo accanto. Insomma, ero un ragazzino con un libro in mano, e per di più lo stavo leggendo, come minimo dovevo suscitare lo stupore di tutti i passeggeri. Così non fu. Durante il tragitto, capii che il libro era qualcos’altro, era un concetto più profondo, decisamente più complicato. Aprire un libro non significava realizzarsi, anzi, col tempo capii che un libro conteneva molte più domande che risposte. Per la prima volta assaporai l’arbitrarietà del reale e le mille forme che può assumere. Fu il crollo di uno dei miei tanti preconcetti infilati nella zucca per tutta l’adolescenza; ciò che un professore non era riuscito a farmi capire, cioè della fragilità dell’apparenza e della solidità del contenuto, lo avevo appreso in uno dei miei vagabondaggi post-adolescenziali.

Ecco, a questo punto dovrei parlare di Renèe e della sua storia. Si, perché leggendo L’eleganza del riccio, ho pensato a quello che ho scritto sopra. La profondità dell’animo della portinaia di rue de Grenelle si misura con la conoscenza di essa attraverso mille e più elucubrazioni più o meno intimiste. Non mancano, anche in questo caso, ingombranti luoghi comuni, soprattutto nella caratterizzazione dei personaggi, ma è certo che, addentrandosi nel libro, si pensa in modo differente e poco banale. La professoressa di filosofia, Muriel Barbery, autrice del romanzo, impasta una storia in prima persona con tante riflessioni filosofiche mai pedanti. A qualcuno il libro è apparso molto schematico, anzi, lo ha addirittura considerato un sollazzo romanzato per single trentenni che votano rifondazione. Mi ha fatto ridere tale considerazione, però un po’ ci azzecca. Effettivamente, leggendo il libro, si incotrano alcuni schemi retorici tipicamente sinistrensi, ma è altrettanto vero che la stessa Barbery ogni tanto lancia accuse più o meno velate indirizzate proprio ai preconcetti tipici del mondo intellettuale di sinistra. La portinaia, in una delle sue riflessioni, si chiede perché dei giovani borghesi di sinistra si ostinino a vestirsi come dei straccioni; o perché, la filosofia universitaria, si chiude nel suo ambiente, senza applicare all’esterno ciò che studia, senza offrire al mondo le sue fatiche. Queste sono domande che stimolano in me riflessioni. Ecco cosa cercavo dai libri in quel mio girovagare sull’autobus: capirmi un po’ di più attraverso le parole stampate.

11 commenti:

lapilli ha detto...

Ho iniziato da un paio di giorni l'Eleganza del riccio e lo trovo irresistibile.
Grazie per il tuo commento e per la bella premessa :)

Maurizio Maestri ha detto...

Vero. Le parti migliori di un libro sono quelle scritte negli spazi. Il libro è lo stimolo di un abbozzo che viene completato dalla nostra mente. O rielaborato. Non si leggono solo le righe nere in un libro. Il vero lettore sa cogliere anche il bianco. Perfino l'odore di colla parla di una storia. E' l'impressione. Che si stampa nel cervello con percezioni sensoriali che chiedono tutte: "Perchè?".

guccia ha detto...

Bello e dolce questo tuo ricordo.

Fra cinque anni, allora, sarà il libro ideale per me ;)

Quello che scrive maurizio, poi, è particolarmente vero per il genere aforistico. Ne aveva scritto qualcosa la Cantarutti.

Anonimo ha detto...

Uff. Avevo scritto un commento-fiume e mi si è sssscancellato, che rabbia!
Ci riprovo: concordo anch'io. Leggere un libro è leggere le parole scritte ma anche la voce che dentro di te le recita a modo suo, l'immagine che nella tua mente si forma, le situazioni che ti tornano in mente. E' rielaborare, personalizzare, immaginare, metabolizzare. E a molti non piace leggere proprio per questo. Preferiscono alla lettura di un libro, la visione di un film, che ti racconta una storia facendotela VEDERE, presentandotela già bell'e fatta, costruita, ben strutturata, visualizzata, senza lasciar spazio a interpretazioni personali (in linea generale questo, eh. Perché poi se non esistesse l'interpretazione personale non esisterebbero i critici cinematografici e nemmeno i corsi monografici di storia del cinema all'università, ma questo è un altro discorso :)). Per loro, leggere una storia in un libro è IMMAGINARE, e quindi costruire, divagare, esulare, addirittura tradire fino a leggere un altro libro. Come se non leggessi più "L'eleganza del riccio" ma "L'eleganza del riccio secondo me".
Io non sono d'accordo, e continuo a pensare che tutto ciò che leggere un libro ti stimola (sensazioni, emozioni, pensieri, immagini, ricordi, riflessioni, domande e/o risposte) sia proprio la fascinazione della lettura.
Detto tutto ciò, di questo libro avevo letto una recensione che m'aveva incuriosito, ora tu le hai dato conferma! Quando mai ne avrò il tempo, lo leggerò.

Adriano (Adrio) Petrucci ha detto...

andrea!
ancora non ho preso il libro in questione, ma cercherò di "trovarlo" in giro.

mi è piaciuto il tuo pezzo.
complimentos!

ormai non ci sono piu quegli adolescenti hce per far "fico" fanno finta di leggere un libro, ormai "aipod" a tutto spiano... basta che ce ne siano accesi piu di 5 in autobus e con il loro volume coprono, paradossalmente parlando, il rumore del traffico...

(da amante dei libri di antropologia, consiglio a tutti "La Nera Signora" di Alfonso M. di Nola, un libro sul culto funebre attraverso i secoli...)

ciaooooooooooooooooo

Naima ha detto...

ne ho sentito parlare bene da più parti.. baci

Andrea Patassa ha detto...

@chiara:buona lettura, spero che tu possa trovare quello che io ho trovato, un bello libro insomma.
@maurizio:sono tempi maledettamente funzionalisti e troppo pragmatici, vedere nel libro qualcosa che va oltre a righe nere su un fondo bianco è davvero importante. Io sono un lettore in quanto rielaboro ciò che leggo, non mi limito a riprodurre in suoni ciò che è sintetizzato in grafemi. C'hai ragione, Maurizio, c'hai ragione.
@guccia:grazie per l'apprezzamento al mio ricordo! :-)
@acrimonia:grazie per il tuo commento fiume, fa piacere vedere che scrivere i propri pensieri genera la scrittura di altri, e poi altri e così via. Vedo che anche tu riesci ad individuare ciò che anch'io(secondo un mio personalissimo e modestissimo parere) apprezzo della lettura: il generare nuove storie, pensieri, riflessioni, poesie, malanni, inquietudini, allegrie, frivolezze ecc... La lettura serve anche a questo, a trasmetterci le nostre esperienze, vederle rielaborare da altri e capire loro cosa provano. Insomma, non è facile descrivere l'atto del leggere, ma vedo che anche tu ne sei affascinata. Un salutone!
@adrio:anch'io mi sento molto "aipod", anzi, mi sento quasi un cultore, infatti ci posso mettere anche gli e-book... :-)
@naima:se ti capita sotto mano leggilo, qualcosa di buono c'è come puoi leggere da quello che ho scritto. Ti mando un salutone!! :-)

Anonimo ha detto...

eh eh eh il 715, sopra c'ho letto ti prendo e ti porto via...quale migliore libro può esprimere il 715? :D bellissimo

Anonimo ha detto...

Abbiamo lo stesso concetto dell'oggetto libro. Solo che io li maneggio da quando ero piccolissima, forse appena trascorsa la fase orale...sono immeditamente passata alla fase...scritta. Ora li scrivo anche(se sei curioso ne parlo spesso sul mio blog, "C'è odore di cuore"). L'ultimo libro letto è "L'Ombra del vento", di Carlos Zafòn: lo consiglio vivamente.
Mi piace il tuo blog, mi piace chi ama i libri, io magari sono un po' maniaca, non riesco a farci le orecchie e odio chi le fa. Ho un'invidiabile collezione di segnalibri.

Choppa ha detto...

anch'io da piccola prendevo il 93 e ci stavo sopra da capolinea a capolinea!
E l'ho fatto anche a Roma, pi� tardi, col sole, per ripararmi solo dagli altri.

Andrea Patassa ha detto...

@danielinux:mitico 715.
@manuela:anch'io non sopporto le orecchie ai libri, ma un libro consumato ha un suo fascino non indifferente (quello con cui viaggio sono tutti un pò rovinati).
@choppa:point to point, da capolinea a capolinea, l'autobus è un viaggio a tempo determinato, e tra le scorrere delle fermate ci si sente un pò al sicuro.